Omelia alla S. Messa – Assisi 18 ottobre 2023

18-10-2023

Celebriamo oggi la Festa di San Luca evangelista, e la Liturgia segna per noi il passo, indica un cammino, mentre stiamo rileggendo la figura del cappellano militare e la sua missione di evangelizzazione. Ed è questo il tema di oggi: l’evangelizzazione

Dal silenzio alla parola, si diceva ieri. Coltivare il silenzio perché la parola sgorghi con più pienezza, con più parresìa. Con «coraggio», è stato ripetuto.

Un coraggio che ha segnato la vita di Paolo, anche nell’esperienza dell’essere abbandonato da tutti, come narra nella prima Lettura (2Tm 4,10-17b), nella quale ha sentito con forza la presenza del Signore: «Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero».

Un coraggio che, nel prete, nasce dal dover portare a compimento l’annuncio evangelico. Al contempo, nasce dalla consapevolezza di essere «scelto», «inviato». «Io ho scelto voi perché andiate», abbiamo ascoltato dal versetto alleluiatico (Cf. Gv 15,16). E, nel Vangelo (Lc 10,1-9), è lo stesso Luca a ritornarci: «In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé».

Dunque dallo sguardo al silenzio, alla parola che evangelizza. La Fase Sapienziale del Sinodo semina questa parola, perché fiorisca nella Fase Profetica.

Anzitutto, seminare richiede un tempo. «In quel tempo» Gesù designa, chiama i discepoli e li manda. C’è un tempo. È sorprendente con quanta lucidità Papa Giovanni più volte – e in modo esplicito anche nella Pacem in Terris – parli della necessità di leggere i «segni dei tempi»[1]. E noi lo stiamo facendo in questi giorni: rileggendo la Pacem in Terris, ne stiamo vedendo la sorprendente attualità e ne stiamo calando i contenuti “nel nostro tempo”. Il tempo, infatti, entra e deve entrare nel concreto discernimento di un sacerdote, perché l’evangelizzazione sia reale.

Il nostro è tempo di Sinodo. Tempo in cui siamo chiamati davvero ad operare un discernimento, per la nostra missione evangelizzatrice, e a farlo in modo sinodale, ovvero insieme.

Nel Vangelo Gesù invia «a due a due». È una sottolineatura fondamentale, che non si limita ad assicurare aiuto nell’annuncio, consolazione nel fallimento, supporto nelle difficoltà, completamento nelle competenze o capacità… Rappresenta piuttosto una vera e propria Icona: come a dire che l’evangelizzazione o è comunionale o non è. Papa Francesco in una conversazione con i Gesuiti lo scorso anno in Canada, aveva detto che «la Chiesa o è sinodale o non è Chiesa». Ma quando la Chiesa è unità, ha spiegato, si possono fare miracoli[2].

L’essere «a due a due» l’essere in comunione è davvero l’immagine della Chiesa. La prima che si vede. E un tale essere «a due a due» è già eloquente evangelizzazione.

A questo serve il Sinodo: a rafforzare tale consapevolezza e a renderla sempre più attuata.

A questo servono i giorni che viviamo qui assieme, icona e nutrimento per un cammino che, nel quotidiano, ci vede fisicamente lontani, ma che ci accompagnerà per tutto l’anno.

Ecco dunque un altro aspetto dell’evangelizzazione: come sacerdoti, come cappellani militari, siamo «a due a due». Gesù, poi, invia i discepoli «davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi». Sappiamo che la traduzione dal greco è li inviò “dinanzi al suo volto”: è il compito del messaggero, dell’angelo che precede il Signore (cfr. Mal 3). Noi precediamo il Signore, arriviamo dove arriverà Lui, prepariamo la strada. È anche qui il senso dell’essere in due, perché il nostro non è un Dio isolato. Siamo in due perché si possa meglio vedere il Suo Volto

Siamo un presbiterio, un corpo. In tutto ciò che diciamo, in tutto ciò che facciamo, in tutto ciò che viviamo. Siamo comunione, siamo Chiesa… Siamo Chiesa nel tempo.

E questo è anche un tempo di guerra. La giornata di ieri ce lo ha ricordato con forza, per la preghiera cui è stata dedicata e per le narrazioni e riflessioni proposte da padre Andrej.

Ma il nostro è anche tempo della tecnologia avanzata: pensiamo al grande tema delle intelligenze artificiali che, con facilità, possono andare a toccare, manipolare, addirittura sostituire la persona, minacciandone la centralità, dunque minacciando la pace. Lo stesso Papa Francesco, lo ricordavamo, svilupperà questo tema nel Messaggio per la prossima Giornata Mondiale per la Pace.

Tutto ciò è oggetto di evangelizzazione; è oggetto di quel discernimento sinodale che ha come ultimo fine l’evangelizzazione. E questo ci interroga sulle sfide pastorali, tutte le sfide che ci raggiungono in quanto Chiesa chiamata ad annunciare Cristo a tutti, in ogni «tempo», in ogni «luogo».

I discepoli, dice Gesù nel Vangelo, sono inviati «in ogni città e luogo»; sono inviati «nella casa». Sono inviati a portare la pace.

Ecco: il messaggio evangelico entra nella casa, entra anche nella città: nel luogo del privato, degli affetti personali; nel luogo delle relazioni più strutturate, della convivenza civile, dell’organizzazione socio-politica. Come cappellani militari, siamo chiamati a entrare – e a fare entrare Cristo con il Suo Vangelo – nella persona, nella famiglia, nella casa, nel mondo istituzionale… in quelli che la Pacem in Terris chiama i «rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche» e gli stessi «rapporti tra comunità politiche»[3].

Il Vangelo sana questi rapporti perché nel Vangelo, lo abbiamo ascoltato – è racchiuso il segreto della pace: stare insieme non come «lupi» ma come «agnelli».

La nostra missione di evangelizzazione, se ci pensiamo bene, ci trova già dentro le case e le città. Ci trova negli ambienti dove vivono i nostri militari, a vivere con loro. Ed è singolare che quella che per noi rappresenta un’esperienza ordinaria, da qualche autore, come il sociologo e teologo Tomàs Halìk – lo accennavo l’altro giorno -, sia oggi inquadrata nel più ampio contesto di una proposta di «avanguardia della Chiesa»: così egli definisce «la pastorale “per settori”, vale a dire il servizio dei cappellani negli ospedali, nelle carceri, nelle forze armate e nelle scuole, così come l’accompagnamento di persone che si trovano nelle più diverse e impegnative situazioni esistenziali», comprese quelle che, pur non portando un’esplicita domanda religiosa, sono comunque aperte a una «ricerca di senso»[4].

Il servizio del cappellano militare è davvero rivolto a tutti, non solo ai credenti, e ha la peculiarità di quella condivisione di vita che rende più concreto e mirato lo stesso servizio pastorale. E questo ci rende espressione autentica della Chiesa “in uscita” così sognata da Papa Francesco, con una “pastorale di ambiente” che non può essere adeguatamente coperta dalle parrocchie e che non è da inventare ma da valorizzare, per tradurre in pastorale i quattro pilastri della pace: «verità, giustizia, libertà e amore».

Per farlo nell’ordinario del ministero tra i militari, per farlo soprattutto nella formazione.

 

Cari amici, accanto all’assistenza spirituale alle Forze Armate, emerge sempre più quello che può essere un concreto apporto dei cappellani alla formazione umana, etica… integrale dei nostri militari.

Una formazione che ne intercetti le domande di senso. Una formazione sulla quale dobbiamo ulteriormente operare un discernimento, perché sia sempre più parte dell’unica missione di annunciare Cristo, Figlio del Padre, con lo Spirito Santo e nello Spirito Santo. E l’annuncio di Cristo, dice Paolo, non si modella sugli uomini, non si riceve né si impara dagli uomini. È frutto della rivelazione gratuita, sorprendente e incessante del Padre.

Nel mutare delle condizioni storiche, ambientali e culturali, in guerra e in pace, Dio si continua a rivelare sempre e il modello della Rivelazione rimane Cristo fatto Uomo, Crocifisso e Risorto per amore degli uomini.

Ci conceda il Signore di annunciarlo così. E così sia!

Santo Marcianò

[1] Cfr. Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, 21-25

[2] Francesco, Conversazione con i membri della Compagni di Gesù, Quebec, Canada, 29 luglio 2022

[3] Cfr. Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, Parte II e Parte III

[4] Tomàs Halìk, Pomeriggio del cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano ???, p. 248