«È la fiducia!».
Si intitola così l’Esortazione Apostolica pubblicata qualche giorno fa da Papa Francesco e dedicata a Santa Teresa di Lisieux, a 150 anni dalla sua nascita e nel centenario della sua beatificazione.
Ed è la «fiducia» la parola che vorrei consegnarvi oggi, al termine del nostro Convegno, e che troverete anche a conclusione della Lettera Pastorale sulla Pacem in Terris. Quella fiducia che è davvero un ritratto di Papa Giovanni. Quella «fiducia che ci sostiene ogni giorno e che ci manterrà in piedi davanti allo sguardo del Signore quando Egli ci chiamerà accanto a sé – scrive Papa Francesco citando Santa Teresina -: “Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere. Ogni nostra giustizia è imperfetta ai tuoi occhi. Voglio dunque rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso”»[1].
In questi giorni abbiamo parlato di sguardo, di silenzio, di evangelizzazione; abbiamo inserito tutto questo nell’oggi del Sinodo e nel tempo terribile della guerra, ascoltando qui una chiamata sempre nuova di noi cappellani militari al servizio a quella pace che è fondata su verità, libertà, giustizia e amore. E anche la fiducia è fondata su giustizia, amore, verità, libertà.
«Voglio dunque rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso», abbiamo ascoltato da Teresina. La fiducia, cioè, schiude il senso pieno di quella giustizia che, assieme all’amore, è pilastro della pace: giustizia come giustificazione. Siamo giustificati dalla grazia, dice Paolo nella prima Lettura (Rm 3,21-30a).
Non si tratta di una fiducia fondata su un generico ottimismo o su una presunzione di sé. Anzi la fiducia vera è proprio il contrario; è “medicina” contro l’autosufficienza e l’autodeterminazione da cui derivano tanti mali, fino alla guerra. La fiducia è propria di chi sa di non potercela fare da solo, come Papa Giovanni, come Teresina: «piccola, incapace di fidarsi di sé stessa, anche se fermamente sicura della forza amorosa delle braccia del Signore»[2].
E mi colpisce che oggi, mentre la ricordiamo, ricorra il 26° anniversario della sua Proclamazione a Dottore della Chiesa, il 19 ottobre 1997.
Nel nostro tempo, tuttavia – ieri ci veniva detto e anch’io ho voluto sottolinearlo nella Lettera –, assistiamo a una progressiva perdita di fiducia, in particolare di fiducia nelle Istituzioni.
Come dunque ritrovare la via della fiducia? Sembra riecheggiare la richiesta fatta nel Vangelo (Gv 14,1-14) da Tommaso a Gesù: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?».
La fiducia è una via, Teresina ce la indica: la «piccola via»! E noi vogliamo percorrerla.
Vogliamo farla entrare nella nostra esistenza personale come pure nel nostro discernimento comunitario, per una vera e nuova evangelizzazione. Questa «è la “dolce via dell’Amore”, aperta da Gesù ai piccoli e ai poveri, a tutti – scrive il Papa -. È la via della vera gioia»[3]. È la via che ci fa «riporre la fiducia del cuore fuori di noi stessi: nell’infinita misericordia di un Dio che ama senza limiti e che ha dato tutto nella Croce di Gesù»[4].
Non è forse qui il culmine di una vita sacerdotale pienamente vissuta, di una conformazione a Cristo reale e colma di amore?
La fiducia è una «piccola via». Ci richiede l’umiltà, la piccolezza propria di chi si incontra con la grandezza immensa del Mistero dell’amore. Di chi si sente infinitamente piccolo perché infinitamente amato. Sente, cioè, la sproporzione con la grandezza dell’Amore, non come frustrazione ma come stupore, come sorpresa.
E la piccola via è la via dell’abbandono: quello che solo i piccoli riescono a sperimentare. Più ci si sente amati più ci si sente piccoli; ma più ci si sente piccoli, più si è capaci di amare.
«La fiducia piena, che diventa abbandono all’Amore, ci libera dai calcoli ossessivi, dalla costante preoccupazione per il futuro, dai timori che tolgono la pace»[5], continua il Papa pensando a Teresa si Lisieux. La via della fiducia è la via della pace: non lo dice forse in modo eloquente anche lo stesso motto di Giovanni XXIII, il binomio “obœdientia et pax” – abbandono alla volontà di Dio e pace?
Un abbandono che è approdo della libertà.
È di una tale fiducia che dobbiamo diventare missionari. E il discernimento comune, sinodale, deve aiutarci a farlo! Come dunque annunciare questa fiducia, come evangelizzare con fiducia?
Certo, gli strumenti di pace esistono e vanno potenziati: esistono le Istituzioni internazionali che applicano il Diritto internazionale, gli sforzi della mediazione, le tecniche della diplomazia… ma spesso non basta. E non solo perché tutto ciò potrebbe fallire ma anche perché non sempre la pace prodotta sarà piena, autentica, duratura.
La fiducia che dobbiamo annunciare è fatta dei piccoli segni la cui visione, dicevamo, è legata a un nuovo sguardo da acquisire; quei segni che padre Andreij ha raffigurato nelle rose sbocciate sulla devastazione. È spontaneo il paragone con Santa Teresina la quale, lo sappiamo bene, promette di inviare una «pioggia di rose» dal Cielo.
Non si tratta di una sottolineatura romantica o di prospettive illusorie. Si tratta, pur nella violenza e nella guerra che non lascia la Gerusalemme terrena – icona di tutti i luoghi in conflitto -, di imparare a rivolgere lo sguardo alla Gerusalemme del Cielo.
«Non sia turbato il vostro cuore… vado a prepararvi un posto», dice Gesù.
Da una parte, quel «posto» lancia la luce dell’eternità sulla disperazione della morte, soprattutto sulle morti strazianti di tanti giovani, di tanti innocenti, di tanti bambini, uccisi dalla guerra e da ogni forma di violenze, violazioni e abusi: anche dall’abuso di quei diritti che superano il limite dell’umano.
Ma quel posto Gesù ci aiuta e ci sfida a prepararlo già ora, senza paura, senza turbamento, con fiducia; Egli ci chiede di trovare la pace nel posto in cui siamo.
C’è una dimensione escatologica della fiducia; una dimensione mistica della fiducia, potremmo dire con Teresina e con Papa Giovanni. E la vera mistica, come sappiamo, è concretezza estrema: è la concretezza dell’amore, che si riveste di eternità.
Quel “poco” che riusciamo a fare, soprattutto se considerato in riferimento a grandi problemi, è quel seme che dona frutto, che, potremmo dire, fa fiorire le rose. Teresina ha seminato il “poco” a lei affidato; ha seminato tutto e immagina di presentarsi al Signore a mani vuote; così può essere presa per mano e condotta, nella fiducia e nell’abbandono.
Così, quel poco è poi diventato “tanto”; è stata la straordinaria missione che ella ha svolto e continua a svolgere, al punto da divenire Patrona delle missioni.
La nostra missione di evangelizzare con fiducia chiede di aiutare a leggere l’efficacia di quel poco che si può fare e abbandonarsi a Dio che può fare il resto, rimanendo nella speranza e nella pace.
È l’esperienza di Papa Giovanni, il quale ha saputo avere fiducia e infondere fiducia. E ci aiuta a far capire ai nostri militari che anche il loro mondo deve fondarsi sulla fiducia. Non solo sulla fiducia nelle competenze professionali, negli attenti addestramenti, nelle nobili motivazioni, ma sulla fiducia in Dio che completa le nostre insufficienze e offre la sua vicinanza di beatitudine per gli operatori di pace.
Il Signore conceda anche a noi e questa fiducia e troveremo la pace diventando strumenti di pace.
Buon cammino e così sia!
Santo Marcianò
[1] Francesco, Esortazione Apostolica C’est la confiance. È la fiducia, 3
[2] Francesco, Esortazione Apostolica C’est la confiance. È la fiducia, 16
[3] Francesco, Esortazione Apostolica C’est la confiance. È la fiducia, 17
[4] Francesco, Esortazione Apostolica C’est la confiance. È la fiducia, 20
[5] Francesco, Esortazione Apostolica C’est la confiance. È la fiducia, 24