Omelia alla S. Messa nel 60° della morte di San Giovanni XXIII

04-06-2023

Santuario Madonna del Bosco (Imbersago – LC), 4 giugno 2023

 

Carissimi, non poteva esserci Parola di Dio più adatta di quella che abbiamo ascoltato per questa nostra Celebrazione per la Pace, nella quale vogliamo anche ricordare un grande artefice, artigiano, uomo di pace: Papa Giovanni XXIII, a 60 anni dal suo ritorno alla Casa del Padre. Una Parola che si radica nella grande Festa di oggi, la Solennità della Santissima Trinità.

Nel nome della Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – siamo riuniti in questo Santuario, che sempre più diventa luogo di adorazione, comunione, preghiera per la Pace; luogo di riferimento, nel ricordo costante di Papa Roncalli, il quale è a sua volta grande punto di riferimento, per credenti e non credenti, e il cui profilo è quasi tracciato dalle Letture di oggi.

Nella prima Lettura (Es 34,4b-6.8-9), lo rivediamo in Mosè, una figura fondamentale in tutta la storia di Israele e per il popolo. Cresciuto, come sappiamo, in una famiglia egiziana, pur essendo ebreo, una volta riunito al suo popolo sarà chiamato a farlo uscire dalla schiavitù dell’Egitto, guidandolo in modo straordinario, nel deserto, verso la Terra Promessa.

Come non pensare a quanto straordinario sia stato il modo in cui Papa Giovanni ha guidato la Chiesa?

Immaginato come un Pontefice “di transizione”, è stato invece capace di una rivoluzione non comune, portata avanti con quel carisma di guida che è proprio di Cristo Buon Pastore, del quale Mosè è figura.

Il pastore – Papa Francesco ce lo ricorda spesso – sta davanti per condurre e dietro per attendere, sostenere, curare le pecore, una per una. E nessuno ha dubbi circa l’attenzione che il Papa Buono rivolgeva alle singole persone, quale che fosse la loro origine, età, stato sociale, convinzione religiosa… Un cuore “ecumenico”, potremmo dire, che ha permesso a tutte le opere da lui compiute di acquisire questa autentica sfumatura; che ha permesso, al Concilio Vaticano II in particolare, di essere «ecumenico» in senso pieno, non solo sul piano dottrinale, giuridico, formale ma… fino al cuore, appunto. Un cuore dunque, quello di Roncalli, aperto, spalancato, come solo quello di un bambino sa essere, tanto all’accoglienza dell’altro quanto alla volontà e alla novità di Dio.

La pace nasce da cuori così, capaci di rendersi, con naturalezza, strumenti di comunione, contribuendo a legare gli uomini tra loro e ad avvicinare il mondo a Dio… Mediatori: come Mosè, chiamato a portare al popolo la Legge scritta su tavole di pietra ma uscita dal Cuore del Signore; su tale Legge si rispecchia quell’«ordine» impresso da Dio nel mondo, in cui è racchiuso anche il segreto della «pace» secondo quanto insegnato dalla Pacem in Terris. È un ordine appreso dall’adorazione del Signore e dall’ascolto della Sua Parola, sul monte di una preghiera quotidiana che rese Roncalli, come Mosè, un vero intercessore per il suo popolo, al quale viene svelata l’intima natura del Dio Trinità: «Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

Che la «misericordia» fosse la natura intima di Dio Papa Giovanni lo aveva ben capito, al punto da proporla, nel Discorso di apertura del Concilio, come «medicina» per gli uomini del suo tempo; come antitesi alle «armi del rigore», che non avrebbero mostrato il volto materno e benedicente della Chiesa.

E un’attitudine di benedizione, non c’è dubbio, ha caratterizzato tutta la sua vita di uomo, di prete e cappellano militare, di vescovo e di Papa. Nel Ritiro spirituale in preparazione al compimento degli ottanta anni di età, il 13 agosto 1961 scriveva: «Sempre, ma soprattutto in questi tempi, il vescovo è indicato per spargere un olio balsamico di dolcezze sulle piaghe dell’umanità». E ciò non significa soltanto astenersi da giudizi temerari, parole ingiuriose o adulazioni, nonché da ogni connivenza con il male, ma altresì promuovere la vita spirituale e sacramentale, perché – spiegava – «questo contribuirà a risolvere anche i problemi di ordine temporale assai meglio che altri accorgimenti umani non vi possano riuscire. Questo attirerà le benedizioni divine sul popolo, preservandolo da molti mali». E quando l’anima è impregnata di sentimenti di benedizione, più che di vendetta e odio, essa si riversa sul mondo sociale, sugli equilibri politici, generando relazioni di stima, rispetto, giustizia e pace.

Potremmo dire che nella benedizione si inscrive tanto l’umanissima e indimenticabile «carezza ai bambini» di Papa Giovanni quanto la sua opera di mediazione tra i due blocchi contrapposti durante la Crisi di Cuba. Davvero la benedizione dipana anche «i problemi di ordine temporale», perché è quel “bene – dire” che fonda la grammatica del dialogo e il linguaggio della pace, superando la logica matematica del conflitto, con i suoi vincitori e vinti.

E San Paolo esorta «Vivete in pace», «e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi». La pace non è teoria che si costruisce a tavolino, non è il guadagno del più forte… È «vita»!

È uno stile di vita contrario alla violenza su ogni persona e in ogni fase e condizione di vita; alla guerra e alle persecuzioni anche religiose; alla minaccia della libertà e all’ingiustizia della povertà; alla cultura dello scarto e a tutte le forme di esclusione…

È un atto di «coraggio», che fa prevalere la forza dell’amore; un coraggio che non ci vede primeggiare sull’altro ma che è, in modo bello, descritto da San Paolo come «vicendevole». Un dono reciproco, potremmo dire; perché abbiamo bisogno di sostenerci l’un l’altro nel coraggio di scegliere quella via della «perfezione» che altro non è se non la via dell’amore.

È sorprendente, ma il frutto di questo amore fino alla fine, fino alla Croce, è la «gioia». E Giovanni XXIII è stato il Papa della bontà ma anche della gioia.

Come dimenticare il suo sorriso? Non superficiale, non estraneo alla sofferenza umana, ma gravido del grido di dolore dei fratelli, trasformato in gioia dalla «grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo»; dal Mistero della Trinità, alla cui Volontà d’Amore egli si abbandona sempre più fiducioso, consapevole di dover insegnare tale abbandono anche al popolo, anche a noi. Nello stesso Ritiro, il 14 agosto 1961 quasi riassume i suoi primi tre anni da Papa nell’atteggiamento – scrive – «commovente e perenne della fedeltà del mio spirito a questa massima: assoluto abbandono in Dio, quanto al presente; e perfetta tranquillità, circa il futuro»; una «regola di condotta che discende dallo spirito di tranquillità e fermezza di cui i fedeli e i collaboratori devono ricevere lume e incoraggiamento dal Papa come primo sacerdote».

Forse tutte queste parole trovano la sintesi in una sola: «padre». Papa Giovanni è stato padre, lo è ancora per generazioni di fedeli, per tanti uomini e donne, per i nostri militari dell’Esercito che lo hanno voluto come Patrono, per chi giunge qui al Santuario chiedendo la sua intercessione, ricevendo la sua benedizione, attingendo al suo esempio di vita. Lo è per il nostro mondo, assetato di pace, assetato di Dio.

Essere Padre è «dare»: il Vangelo di oggi (Gv 3,16-18) lo afferma, illuminando così il Mistero della Santissima Trinità. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».

Capiamo che Dio è Padre non solo perché “ha” un Figlio ma perché Lo “dona” a noi; e, in quel «dare», c’è tutto l’Amore che è lo Spirito Santo.

L’amore dona, si apre, amplia la paternità perché vede un figlio in ogni uomo. L’amore è fecondo, potremmo dire, usando una parola forse difficile da capire, in un tempo in cui la fecondità umana è rifiutata o manipolata… nella fecondità c’è la generazione della «vita eterna», che il Padre desidera per noi e che si dona nel dare, come Papa Giovanni ha dimostrato in tutta la sua esistenza.

 

Cari amici, mentre ricordiamo i 60 anni dalla sua morte, pensiamo ancora a Mosé che guida il popolo per il deserto, fino alla soglia della Terra Promessa, nella quale non entrerà ma che vedrà da lontano. È la terra promessa da Dio, terra che non si conquista per sé stessi ma per gli altri; è la terra che, nel dare, si guadagna per la vita eterna, perché diventa eredità.

Celebrando Papa Giovanni, ne raccogliamo dunque l’eredità: l’eredità di un insegnamento, di un Concilio la cui conclusione egli non riuscì a vedere; l’eredità di un padre che dona la carezza della misericordia, benedizione di Dio e da Dio; l’eredità della preghiera e della santità, della gioia e della pace.

Che la pace possa essere sparsa nel mondo, per intercessione del nostro amato Papa Buono.

Santo Marcianò

Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia