Omelia alla Santa Messa del Crisma

27-03-2024

Chiesa S. M. degli Angeli e dei Martiri – Roma 27 marzo 2024

Carissimi, è sempre un dono grande ritrovarsi per la Messa Crismale, soprattutto perché è un Dono grande il nostro sacerdozio, del quale oggi facciamo memoria.

Sì, oggi! Anzitutto perché la gratitudine, che si radica nella memoria e da essa sgorga con fecondità, si celebra sempre nel presente. Se si fermasse al passato sarebbe ricordo nostalgico, magari rimpianto o addirittura lamento… Non sarebbe memoria! Non sarebbe – per così dire – quella “memoria eucaristica” che ci deve contraddistinguere.

Noi presbiteri dovremmo essere capaci di questo tipo di memoria, dovremmo esserne sacramento, a motivo del rapporto inscindibile, intimo, tra Eucaristia e Sacerdozio. Così, nell’Eucaristia, la memoria del nostro sacerdozio raccoglie ogni memoria e la consegna, la offre, affinché sia lo Spirito a fecondarla e a trasformarla in qualcosa di vivo nell’oggi.

L’oggi in cui viviamo questa Solenne Eucaristia è ancora, purtroppo, un oggi di guerra!

Lo sentite in particolare voi, cappellani militari. Mentre vi accolgo in questa Basilica con grande affetto e gratitudine per la vostra presenza, il mio pensiero va con apprensione ai confratelli assenti perché impegnati in Missioni Internazionali per la Pace, in luoghi di conflitto, in confini strategici, sulle navi, spesso nei pressi dei cosiddetti “obiettivi sensibili”… Li ricordiamo davanti al Signore, affidando a Lui il loro sacerdozio, la loro missione la loro vita; e, con loro, ricordiamo coloro che non sono con noi per motivi di ministero o di salute. Tutti portiamo nel cuore nella comunione, “cuore” del “corpo” che è il presbiterio della nostra Chiesa.

Pensando all’oggi non possiamo non pensare alla Chiesa, mentre continua il cammino Sinodale, e alla nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare che, proprio in questi giorni, ha vissuto la Visita ad Limina, alla quale ho partecipato assieme ai confratelli di Roma e del Lazio. Un momento di comunione dei vescovi attorno a Papa Francesco, adombrato certamente dalla sofferenza per la delicata situazione internazionale; per noi, anche un’occasione preziosa per ripercorrere il lavoro svolto negli ultimi 10 anni così come è stato chiesto dalla Santa Sede. Un’occasione, dunque, per rendere ancora una volta grazie al Signore per la ricchezza della nostra Chiesa particolare, per la dedizione che voi, cappellani militari, infondete nel ministero, per gli orizzonti straordinari aperti tanto dalla esigenze pastorali dei nostri militari quanto dalla vostra carità e creatività sacerdotale.

 

Ecco, il nostro “oggi” si snoda così: tra il buio della guerra, che miete sempre più vittime innocenti e stende la sua ombra minacciosa sull’umanità, e i semi di luce sparsi da coloro i quali seguono con fiducia e amore la bellissima vocazione con cui Dio ci riserba un posto nell’oggi, nella storia.

Così, il fare memoria del sacerdozio, il rinnovarne le promesse ci colloca, da una parte, in una condizione di profonda umiltà per un Dono che ci sovrasta; ma proprio da questa posizione di umiltà – e solo da questa posizione di umiltà -, possiamo contemplare la nostra vocazione come tassello imprescindibile della storia umana, della Storia della Salvezza.

Non è forse calato in questa storia ogni sacerdozio sulla terra, innestato nell’unico Sacerdozio di Cristo?

«Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri…». Ripetendo con Gesù le parole di Isaia (Lc 4,16-21; Is 61,1-3.6.8b-9), possiamo anche noi esclamare stupiti: «Il Signore ha consacrato “me”… ha mandato “me” a portare il lieto annuncio…».

Pensarlo nell’orizzonte della storia di oggi ci fa tremare il cuore. Parliamo di lieto annuncio, di bella notizia, ma sentiamo come spesso anche il nostro cuore viva lo scoraggiamento e l’annuncio evangelico, al quale dedichiamo tutte le forze e tutta la vita, ci sembra risuonare vuoto e nel vuoto.

Ma Dio ci viene incontro e, tra i doni elargiti a questo nostro tempo difficile e malato, c’è il Giubileo, che il Santo Padre ha voluto dedicare alla speranza. Cari confratelli, è il dono che invoco per tutti noi in questa Messa Crismale: la speranza!

Una speranza – mi verrebbe di dire – “sacerdotale”. Una speranza radicata nel nostro ministero e, prima ancora, nella nostra identità di preti.

«Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà», abbiamo ascoltato nella seconda Lettura (Ap 1,5-8). Parole di speranza, perché la speranza cristiana, lo sappiamo, esprime una «tensione»; essa è guidata dall’amore di desiderio, verso un bene che manca, e dalla fede che lo ritiene raggiungibile, a motivo della promessa di Dio. Ma è proprio questa tensione di speranza che, ricordando la famosa raffigurazione di Péguy, spinge la fede e l’amore, le trascina.

Pur essendo tensione, la speranza ha tuttavia bisogno dell’oggi: «È nel presente che inizia l’avventura della speranza. Esso è l’unico tempo che possediamo nelle nostre mani»[1], dice un grande testimone di speranza dei nostri tempi, il cardinale Van Thuan, riportando la sua terribile esperienza di prigionia.

Come ritrovare e offrire, al nostro popolo, una speranza realisticamente piantata nell’oggi, in questo nostro “oggi” che interpella i cristiani, i presbiteri… che interpella noi, ministri della Chiesa che è a servizio del mondo militare? Dall’esperienza e dalla parole di Van Thuan vorrei cogliere alcuni aspetti che schiudono una strada di “speranza sacerdotale”:

  • Amore in ogni cosa: il munus regale
  • Essere Parola: il munus profetico
  • In Cristo per il popolo: il munus sacerdotale
  • Dio, non le sue opere: il luogo della preghiera

 

Amore in ogni cosa: il munus regale

«Nelle lunghe notti in prigione, mi rendo conto che vivere il presente è la via più sicura alla santità»; infatti «il cammino della speranza è fatto di piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza»[2]. Sono parole che colpiscono, perché radicate nell’oggi di un vescovo che non solo dovette affrontare un tempo di prigionia, di violenza, di guerra a cui era sottomesso anche il suo popolo ma che, a motivo di tutto questo, viveva il più grande vuoto che un vescovo o un sacerdote possano sperimentare: essere separato dal popolo; sentire che esso era un gregge senza pastore proprio nel momento in cui aveva più bisogno del pastore.

Può capitarci di avvertire una tale separazione: forse per motivi contingenti di difficoltà, di malattia, di crisi… forse per il rifiuto da parte del nostro popolo o forse proprio per la durezza dell’oggi.

«Io non aspetterò. Voglio vivere il momento presente colmandolo di amore»[3], decise Van Thuan; decisione maturata nel profondo di una crisi di identità pastorale, che però mostra una forza evangelizzatrice, capace di trasformare la vita del sacerdote e di coloro che lo circondano. L’amore che egli avrebbe voluto dimostrare alla gente della sua diocesi si riversò sugli altri detenuti e sugli stessi carcerieri, trasformando la prigione in comunità, in piccola Chiesa.

È il nostro compito, è la nostra speranza, è il modo in cui siamo chiamati a vivere il munus regale in obbedienza alla volontà e alla novità di Dio: non cercare la comunità che avevamo immaginato, non desiderare un luogo ideale, ma trasformare ogni luogo in comunità da condurre, in Chiesa. Da sacerdoti, possiamo sempre farlo! Da sacerdote, posso capire che «tutti sono il popolo di Dio a me affidato!»[4].

 

Essere Parola: il munus profetico

Per dare oggi speranza a questo nostro popolo, noi sacerdoti dobbiamo «essere Parola»[5].

Privato di tutto, Van Thuan appuntava in stralci di fogli i versetti biblici che poteva ricordare a memoria, cercando di vivere la Parola per comunicarla.

È lo stesso zelo che deve muovere la predicazione, la catechesi, le omelie… le nostre relazioni con i militari, i giovani, coloro che hanno responsabilità di comando. Custodire la Parola, inciderla nella mente e nel cuore, donarla perché doni vita: con una vita – la nostra – che sia trasparente della luce della Parola.

Sì! Essere Parola è vivere appieno il munus profetico.

Se immaginassimo di perdere un giorno anche noi le Scritture, potremmo meglio avvertire la fame e la sete «di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e sentire quanto sia necessario offrirla con una vita trasformata da Cristo e in Cristo, per portare veramente speranza.

 

In Cristo per il popolo: il munus sacerdotale

Si inserisce qui il Mistero del munus sacerdotale, operante nei sacramenti, anzitutto nell’Eucaristia. Celebrare l’Eucaristia è essere in Cristo per il popolo.

Sono fortemente commoventi le parole di Van Thuan, quando definisce «le più belle Messe» della sua vita quelle celebrate di nascosto in cella, con tre gocce di vino e una goccia d’acqua nel palmo delle mani, diventate il suo altare e la sua cattedrale. «Ogni volta avevo l’opportunità di stendere le mani e inchiodarmi alla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro – egli racconta -. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l’anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio»[6].

Vengono quasi in mente le Messe celebrate nel buio delle trincee e sul fronte di guerra, il cui racconto ci è tramandato da tanti cappellani militari.

Quanta speranza racchiusa nell’Eucaristia, che fa il nostro sacerdozio e ci fa sacerdoti per il popolo! È per questo Mistero il primo e più grande grazie di oggi.

 

Dio, non le sue opere: il luogo della preghiera

C’è un ultimo invito che mi piace offrirvi, un’ultima grazia da chiedere: cercare Dio, non le opere di Dio!

Fu la luce interiore che fece trovare a Van Thuan uno spiraglio nel vuoto della prigione: «Tutto ciò che hai compiuto e desideri continuare a fare […] è un’opera eccellente, sono opere di Dio, ma non sono Dio!»[7].

È un punto chiave, capace di andare al cuore del nostro ministero, di scardinarne difficoltà, proteggerlo da attivismi, sconfitte e fallimenti, accrescerne la passione per l’Unico Amore che ci ha rapito il cuore.

È proprio vero: quella tra Dio e le sue opere è «una scelta sempre nuova che richiede conversione»[8]; un discernimento concreto e continuo tra gli affanni del nostro quotidiano. «In effetti ogni Pastore pensa di aver scelto Dio – osserva ancora Van Thuan -. Tutti ci prodighiamo con grande dedizione per le opere di Dio. Ma sento che devo sempre di nuovo esaminarmi sinceramente davanti a Lui: nella mia vita pastorale, quanto è per lui e quanto per le sue opere (che poi sono spesso le mie opere)? Nel rifiuto di lasciare un incarico, o nel desiderarne un altro, sono veramente disinteressato o no?»[9].

L’invito a cercare Dio è la sorgente della speranza. Se ci pensiamo bene, è l’invito a entrare in quello che Benedetto XVI, proprio ricordando Van Thuan, definisce «il primo luogo di apprendimento della speranza», ovvero «la preghiera»[10].

E alla preghiera, lo sappiamo, Papa Francesco ha voluto dedicare quest’anno di preparazione al Giubileo: «un anno dedicato a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita personale, nella vita della Chiesa e del mondo», lo ha definito il 21 gennaio scorso, dandovi inizio e chiedendo a tutti «di intensificare la preghiera per prepararci a vivere bene questo evento di grazia e sperimentarvi la forza della speranza di Dio»[11].

 

Cari confratelli,

«Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza», abbiamo cantato nel Salmo responsoriale (Salmo 88). Invocando con Gesù il Padre, alla Vigilia del Solenne Triduo Pasquale, entriamo in modo più forte nell’Anno della Preghiera.

Sì, la preghiera: ecco il nostro oggi!

Ecco l’oggi in cui ci radichiamo, perché l’oggi in cui siamo radicati sia un oggi di speranza.

Ecco l’oggi liberante, nell’oggi tribolato e difficile di un mondo prigioniero di egoismi e violenze.

Ecco l’oggi luminoso che rischiara la via, nel buio di un mondo che cancella Dio.

Ecco l’oggi in cui fare memoria grata e commossa del Dono immenso del sacerdozio, che rende intercessori di Pace per il popolo, contemplatori di Bellezza, operatori della Speranza che viene da Dio.

Per questo dico grazie, oggi, al Signore e a voi.

E così sia!

Santo Marcianò

 

 

[1] F. X. Van Thuan, Testimoni della speranza. Esercizi Spirituali tenuti alla presenza di Giovanni Paolo II. Città Nuova, Roma 2000, pp. 71-72

[2] Ivi, p. 73

[3] Ivi, p. 78

[4]Cfr. Ivi, pp. 102-112

[5] Cfr. Ivi, pp. 81-90

[6] Ivi, p. 168

[7] Ivi, p. 62

[8] Ivi, p. 63

[9] Ivi, p. 66

[10] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe Salvi, 32

[11] Francesco, Angelus, Piazza San Pietro, 21 gennaio 2024