Omelia alle esequie del carabiniere Antonio Taibi

18-07-2016
Carrara – 29/01/2016
 
Carissimi fratelli e sorelle, carissimi carabinieri,

il nostro ritrovarsi di oggi è dolore, angoscia; è sgomento, dinanzi alla vita spezzata del nostro caro fratello Antonio, maresciallo dei carabinieri. Siamo attoniti, come accade dinanzi a vicende inattese e impensabili. Siamo qui a piangere con la cara moglie Maria Vittoria, con i carissimi figli Carlo e Gianni, con i genitori Maria e Carlo, con i fratelli, gli amici i colleghi di Antonio. Siamo qui ad accompagnare in Cielo un carabiniere, ucciso, semplicemente, perché ha compiuto il proprio dovere.  «Il Regno di Dio – dice il Vangelo (Mc 4,2634) – è simile a un granello di senapa». È un’immagine significativa, con la quale mi sembra il Signore ci voglia spiegare la vita, la morte, l’eredità che lascia il carissimo Antonio. L’immagine è quella di un albero forte e bello, «più grande di tutte le piante dell’orto», che nasce, però, dal «granello di senapa», il «più piccolo di tutti i semi». Da un seme veramente piccolissimo, poco più grande di un granello di polvere, nasce un albero, il Vangelo lo sottolinea, che «fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Sono rami non chiusi in una bellezza da guardare ma aperti sul mondo, perché altri possano trovarvi custodia, accoglienza, protezione. Era così, Antonio. Un albero forte e bello, un “gigante buono”, qualcuno lo chiamava. Un uomo fondato su un coraggio sereno, sicuro, autentico. E la sua grandezza, come per molti dei suoi colleghi carabinieri, si misurava proprio dal non vivere per se stesso ma per altri, in tutti i compiti che gli venivano affidati. Quante persone hanno trovato in lui rifugio e protezione, a cominciare dalla sua famiglia, dai suoi adorati figli, dalla moglie, dai genitori, dai fratelli, dagli amici! Ma questa forza, questa bellezza, questa grandezza, nasce da un seme quasi invisibile che muore nel terreno; nasce dalla fedeltà quotidiana a un dovere fatto con coraggio e semplicità, con giustizia e onestà, con competenza e dedizione – era davvero una dedizione esemplare quella di Antonio –, senza mai tornare indietro, neppure dinanzi alla paura o alle minacce. Un dovere che nessuno vede, che nessuno misura, che sembra a tratti insignificante, ripetitivo; che non balza agli onori della cronaca se non, purtroppo, in circostanze tragiche qual è quella di oggi. Conosciamo tutti il proverbio che dice come faccia più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Antonio apparteneva agli alberi di quella foresta che, crescendo in silenzio, cambiano veramente la storia umana, la storia della nostra Nazione. Dal silenzioso servizio quotidiano di carabinieri come lui, nasce una foresta che, potremmo dire, ossigena l’aria, liberandola dai veleni della violenza, della prevaricazione, della corruzione e riportando all’ambiente, al Paese, al mondo intero, la linfa della giustizia e della pace. Sì, spesso respiriamo un’aria inquinata, asfittica, l’aria che danno alberi ripiegati su se stessi, chiusi, incapaci di aprire i propri rami all’accoglienza. La respiriamo nel mondo, in quell’Europa che sta facendo i conti con chiusure che sembrava impensabile riproporre; la respiriamo nel nostro Paese, nei nostri ambienti, talora anche dentro le comunità familiari o ecclesiali… La respiriamo a livello politico e istituzionale, amministrativo o economico, quando perdiamo la capacità di poggiare lo sguardo sull’altro. Per questo, l’immagine evangelica dell’albero è vitale. Perché se la terra sta morendo – Papa Francesco lo ha ricordato con forza nella sua Enciclica Laudato si’ – ciò è anche dovuto alla mancanza di verde, di alberi. Se la terra sta morendo, ciò è dovuto al fatto che non tutti siamo persone come Antonio e come i suoi colleghi carabinieri i quali, spesso non capiti o addirittura osteggiati, svolgono con il cuore un servizio che salva tante vite umane. Questo essi fanno, anche quando esercitano il dovere della denuncia, dell’imputazione, dell’indagine, per servire l’uomo servendo la giustizia e la verità. E tale verità libera sempre; libera anche coloro che sembra condannare! Se ci pensiamo bene, ingiustizia, corruzione, violenza, menzogna… rendono vittime non solo coloro che le subiscono ma anche coloro che le esercitano. Anch’essi ne sono prigionieri, perché il male rende schiavi. Antonio, cari amici, lo ha capito e, nel suo lavoro, ha liberato e salvato molti, anche coloro che  non lo hanno compreso e non sono stati capaci di accettare. Questo è ciò che fanno i carabinieri, i militari italiani, consapevoli di essere chiamati a difendere la vita e la dignità umana, a difendere ogni persona, sempre. In un momento storico in cui l’intolleranza, la paura e l’individualismo fanno chiudere i confini di molti Paesi e i cuori di molti di noi, i rami spalancati di quell’albero, in realtà, danno ombra e riparo a tutti gli uccelli del cielo, senza distinzione, discriminazione, esclusione; e quell’albero cresce, mentre il seme muore.   Sì, il silenzio di un seme che, quotidianamente, si consuma e da la vita fa crescere il mondo, cambia la storia: ha cambiato la storia di Carrara come dei luoghi che il maresciallo Antonio ha toccato con il suo servizio, il suo sorriso, la sua persona. Egli ha lasciato ovunque un profumo indimenticabile, che ci sembra quasi di sentire anche oggi; un po’ come il profumo del pane, che fa bene e fa il bene di molti. È l’altra immagine che il Vangelo propone, il «seme di grano». E questo seme ha un compito ancora più grande: diventa pane che sfama, sazia, accresce la comunione, fino a diventare condiviso nell’Eucaristia; un profumo, in certo modo, necessario per vivere, tanto fisicamente quanto spiritualmente. Tutti sappiamo, però, che accanto al grano che biondeggia, accanto ai bellissimi alberi che spalancano i loro rami, nel giardino del mondo c’è e ci sarà sempre anche la zizzania che sembra impedire la crescita, ostacolare la bellezza, bloccare il bene. Perché la zizzania, non sarebbe meglio eliminarla? Perché non impedire un gesto così folle e crudele come quello che ha stroncato la vita del maresciallo? Perché il male? È l’eterna domanda dell’uomo, la prima Lettura lo ha ricordato con l’esperienza di Giobbe. E Dio sembra, soprattutto in momenti come quello che oggi stiamo vivendo, non voler dare risposta, almeno fino al tempo della mietitura, quando le spighe vengono «falciate» e diventano pane per molti. Qui si capisce come, in realtà, sia il grano buono a lasciarsi falciare, perché la zizzania non venga eliminata; è il grano, potremmo dire, che difende la zizzania; e lo fa per amore!   Caro Antonio, così è stata la tua vita: si è aperta per accogliere e abbracciare e poi si è lasciata falciare, è diventata pane anche per coloro che ti hanno ucciso; tu hai difeso la vita fino alla fine, fino al dono della tua vita. Il vuoto che tu lasci è enorme, ma il profumo di questo pane ci avvolge con forza e, in questo momento, si unisce al Pane Eucaristico, a Cristo, entrando nella Vita Eterna, nel Mistero di Colui che dona la propria Vita, perché tutti, davvero tutti, abbiano la vita. Per questo, caro Antonio, ti diciamo un grazie commosso e profondo, a nome della nostra Chiesa, a nome dell’Arma dei carabinieri e a nome del nostro Paese, di tanti cittadini comuni che si sono sentiti da te custoditi e amati. Sì, il profumo che tu hai diffuso è il profumo dell’amore, della fede, della speranza. Con questo tuo profumo, resta ora accanto alla tua Maria Vittoria, ai tuoi figli Carlo e Gianni, ai tuoi genitori Maria e Carlo, ai tuoi parenti, colleghi, amici. E, mentre celebriamo l’Anno Santo, questo tuo profumo resti come testimonianza viva di Misericordia, come esempio e compagnia, per tutti noi e per tutta la vita. Grazie! E così sia!  X Santo Marcianò Arcivescovo