Carissimi confratelli nel sacerdozio, fratelli e sorelle,
la Parola di Dio sempre ci conduce per mano, per affrontare il cammino della fede nel tempo che viviamo. È il tempo della sinodalità, lo ricordavamo nell’Introduzione al Convegno: il Sinodo della Chiesa Universale ieri ha chiuso le porte; il Sinodo della Chiesa Italiana ci proietta nella Fase della Profezia. Dunque, un binomio: Sinodalità e Profezia!
La sinodalità è ben espressa nella prima Lettura (Ef 2,19-22): una comunità che «cresce ben ordinata» e nella quale tutti vengono «edificati insieme».
Insieme! Sappiamo come sia il termine decisivo nel vocabolario del Sinodo. Ma anche in Paolo. I verbi che usa, «crescere» e «venire edificati», contengono il prefisso «siùn, con». È una “con-crescita”, una “con-edificazione”; e questo «con», qui riferito ai fratelli tra loro, si pone in continuità con quel «con Cristo» usato da Paolo pochi versetti prima (cfr. Ef 2,5-6).
La definizione di «Sinodo», è noto, è la definizione stessa della Chiesa, che l’immagine dell’edificio descrive plasticamente: tante pietre la costituiscono, ma «insieme» e non in modo statico, immutabile, ma quasi dinamico, ovvero «in crescita». È questo «con» di carità, radicato sull’amore di Cristo, che conferisce vita, rendendo l’edificio non un monumento ma – lo sappiamo bene – un «corpo».
Tante pietre insieme, dunque. E qual è la posizione di noi pastori? Uguale alle altre pietre?
Per certi versi sì. È necessario essere “del popolo”, per cogliere l’essenza del sacerdozio. Tanto più questo è vero per i presbiteri che operano tra i militari, chiamati a condividerne la vita e le stesse condizioni di vita. Il che, lasciatemelo dire, potrebbe costituire una testimonianza peculiare dei cappellani militari nei confronti di altri sacerdoti. La figura del cappellano militare, non lo dimentichiamo, è stata da noi scelta quale “Quarto cantiere” – ambito specifico – per il Cammino sinodale. E, come ricordo spesso e ho sottolineato anche nel Documento della Visita ad Limina, la «pastorale per settori»[1] di cui oggi si parla mi sembra esiga non solo presenza ma condivisione.
È bello sapere di essere pastori della Chiesa come pietre tra le pietre, edificate con le altre. Pietre che sorreggono e sono sorrette dalle altre!
Ma le pietre fanno parte di una «costruzione ordinata». C’è un “ordine” a cui anche il Sinodo ci indirizza. E qui c’è l’altra particella decisiva per Paolo: «in». L’ordine è «in Cristo», l’altra pietra di cui egli parla: la pietra scartata che è pietra angolare. Sì, Cristo, al quale siamo conformati. In Lui va cercato l’ordine in cui edificare e far crescere. «In Lui» il sacerdozio ci posiziona e ci radica sempre più.
E «in Lui» noi possiamo accorgerci delle tante «pietre scartate» cha abitano la storia e farne pietre vive. Questo è l’altro versante del cammino sinodale. Da una parte, l’immagine di una Chiesa unita, come comunità e come presbiterio. Da un’altra parte, la vita delle persone che faticano a sentirsi parte di una comunità ecclesiale ma anche, se ci pensiamo bene, di una comunità civile, di un mondo, di una città… tante volte persino di una famiglia. E voi lo sapete bene!
L’espressione di Efesini, «familiari di Dio», nel suo originale greco (oichèios tu theù), richiama la casa di Dio, il tempio (oichòs theù), in cui si entrava per un servizio liturgico. Ed è un’espressione molto forte se la pensiamo collocata in una Lettera che, al di là delle discussioni degli storici e degli esegeti, si considera indirizzata a destinatari provenienti dal paganesimo e abitanti di una città, Efeso, crocevia di popoli e culture, per la sua magnificenza e posizione.
Stile sinodale, potremmo dire, significa sentire e trasmettere appartenenza! E oggi, in una civiltà che sta perdendo cittadinanza, il grido di Paolo assume tutto il suo valore: sentirsi pietre edificate con gli altri, accorgendosi delle pietre scartate, per renderle pietre vive e poggiate sulla Pietra Angolare: Gesù!
Quali sono queste pietre scartate nel nostro mondo militare e come farle sentire pietre vive?
È la domanda che la fase profetica del Sinodo ci continuerà a porre. E anche qui la Parola ci illumina.
La Chiesa italiana chiede di entrare nella profezia, per così dire, nell’ ultimo atto del Sinodo. Ma la Chiesa, alla profezia, deve le sue radici: siamo edificati sul fondamento dei profeti e degli apostoli e siamo al contempo chiamati alla profezia.
Nel Vangelo (Lc 6,12-19), Gesù sceglie i Suoi apostoli e profeti, dunque tutti noi, dopo l’ascolto del Padre nella preghiera e al termine della vita nascosta, in cui ha potuto ascoltare e conoscere il mondo.
Il tempo sinodale, già dedicato all’ascolto e al discernimento, esige ora scelte profetiche, esige un annuncio evangelico in grado di incidere nel mondo.
Mi piace pensare a tale profezia raccogliendo l’invito del Papa nell’Enciclica appena promulgata, la Dilexit Nos: «Il mondo può cambiare a partire dal cuore!»[2], esclama Papa Francesco, attribuendo al cuore tutto il suo potere «unificatore»: delle dimensioni della persona, delle relazioni umane, della stessa realtà. «Solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli, perché anche la pacificazione è compito del cuore. Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale»[3], egli scrive, chiedendo al Signore «che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore»[4].
Cari amici, in questa Eucaristia eleviamo anche noi tale supplica al Signore. Lo facciamo mettendoci, in questi giorni, in una disposizione “sinodale” di ascolto comune: della Parola di Dio, delle riflessioni che ci vengono proposte, della fraterna condivisione di diversi aspetti del nostro ministero, eco della voce dei nostri militari, le cui domande più profonde sono sfida e mandato per la nostra missione profetica.
Dopo aver scelto gli apostoli, Gesù scende con loro dal monte e volge i suoi occhi verso la moltitudine di coloro i quali sono venuti per ascoltarlo ed essere guariti da malattie e impurità. Li tocca e si fa toccare, li reintegra nella comunità civile ed ecclesiale, come pietre vive e necessarie nella loro unicità, li lega con Sé e tra loro nell’amore.
È qui la strada profetica della sinodalità! Per attuarla, come scrive ancora Francesco nella Dilexit Nos, «abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. È lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare»[5].
Il Signore ce lo conceda, ci conceda il Suo Cuore!
Santo Marcianò
Letture: Ef 2,19-22; Sal 18 (19); Lc 6,12-19
[1] Cfr. Tomàs Halìk, Pomeriggio del cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano 2022 p. 248
[2] Cfr. Francesco, Lettera Enciclica Dilexit Nos, 28 – 31
[3] Dilexit Nos, 28
[4] Dilexit Nos, 31
[5] Dilexit Nos, 30