Roma, Basilica S. Maria degli Angeli e dei Martiri – 11 ottobre 2024
Carissimi, ci ritroviamo per un appuntamento molto atteso, specie da quando Papa Giovanni è stato dichiarato Patrono dell’Esercito Italiano.
Questa Eucaristia è anche un momento di profonda riflessione, dove chiediamo a Papa Giovanni di dischiuderci sempre più il segreto della sua santità e della sapienza con la quale seppe affrontare grandi sfide della storia, non molto dissimili da quelle del nostro tempo, prima fra tutte, la grande sfida della pace. Le vicende di questi giorni, in modo particolare la situazione dei nostri soldati impegnati in Libano nella missione UNIFIL, ci riportano ai momenti più difficili della storia dove i nostri militari, sull’esempio di Papa Giovanni, sono chiamati ad essere protagonisti nella costruzione di una cultura del dialogo e della pace. A loro va il nostro pensiero, per loro è la nostra preghiera.
E’ la sapienza di pace di Papa Giovanni che vorrei chiedere per ciascuno di voi e vorrei, in qualche modo, carpirla, comprenderla da alcune sfumature della sua vita e della Parola di Dio che oggi la Liturgia ci propone come sapienza del «pastore», che potremmo schematizzare così:
- La sapienza della cura
- La sapienza del pascere
- La sapienza della vocazione
La sapienza della cura
Nella prima Lettura (Ez 34,11-16), il profeta Ezechiele parla del pastore con un linguaggio piuttosto comprensibile dal mondo militare, indicandolo come colui che «passa in rassegna» le pecore, le «raduna» se disperse. Potremmo pensare a operazioni a voi comuni – passare in rassegna, radunare i militari… – che possono essere rilette come necessità di conoscere e chiamare le pecore per nome, assicurarsi che tutte siano al sicuro prima di chiudere il recinto, darsi da fare per radunarle, fino ad andare a cercare ogni pecora perduta… Il pastore lo fa e, poi, «conduce». E anche questo verbo ha a che fare con chi comanda, indica e percorre una via, si assume le responsabilità, su piccola o larga scala. Dalle più piccole caserme fino a coloro che devono prendere decisioni delicatissime, a nome dell’intero Esercito e a servizio del nostro Paese e della pace.
Ci vuole molta sapienza, per portare avanti tali compiti; non solo competenza, non solo scienza, ma sapienza, intesa come sapere che arriva al profondo; unendo la saggezza al discernimento, sul piano etico e della vita pratica. Una sapienza che, con la Parola di Dio, potremmo riassumere come prendersi cura.
L’espressione ci fa pensare a Giovanni XXIII, al suo al modo di essere. Infatti, non riusciremmo a immaginare l’intera sua opera senza la cura concreta che egli seppe avere verso tutti gli esseri umani: verso i piccoli e i grandi, come il pastore che si prende cura di ogni pecora, di quella debole, ferita e di quella forte, grassa. E questo – spiega Ezechiele nel brano biblico – significa «pascere secondo giustizia».
Ecco che la sapienza della cura è servizio di giustizia, incarnato da Papa Giovanni e da voi, uomini e donne dell’Esercito Italiano. La vostra giustizia passa per un “prendersi cura” che è valore fondante il mondo militare; è cuore e anima della difesa, del soccorso, della protezione di ogni persona, della giustizia e della pace. E tale sapienza richiede di «pascere».
La sapienza del pascere
Il verbo pascere è usato nel Vangelo (Gv 21,15-17), che ripropone il dialogo tra Gesù Risorto e Pietro sul Lago di Galilea e che mi piace intitolare: “dal rinnegamento all’amore”. Un dialogo che Gesù stesso fonda sull’amore, chiedendo a Pietro per tre volte, corrispondenti al suo triplice rinnegamento, «mi ami tu?». Domande a cui Pietro risponde affermativamente ma – sappiamo dal testo greco – con una sfumatura diversa: non dice propriamente «ti amo» (agapào) ma «ti voglio bene» (filéo); e Gesù, la terza volta, si esprimerà allo stesso modo di Pietro, chiedendogli: «mi vuoi bene?».
Alcuni esegeti sostengono che quella tra i due termini sia una differenza poco significativa; per altri, invece, è indicativa dell’amore imperfetto di Pietro… In ogni caso, è vero che, come lui, dobbiamo sempre crescere nell’amore, per esercitare un servizio autentico.
Gesù indica a Pietro la via: «Pasci le mie pecore»! Per crescere nell’amore, per passare dal «ti voglio bene» al «ti amo», per essere uomini e donne di pace, non c’è altra strada che «pascere».
Pietro, diceva Papa Francesco nell’omelia per la Festa di Papa Giovanni due anni fa, «era un pescatore di pesci e Gesù lo aveva trasformato in pescatore di uomini (cfr Lc 5,10). Ora gli assegna un mestiere nuovo, quello di pastore, che non aveva mai esercitato. Ed è una svolta, perché mentre il pescatore prende per sé, attira a sé, il pastore si occupa degli altri, pasce gli altri. Di più, il pastore vive con il gregge, nutre le pecore, si affeziona a loro. Non sta al di sopra, come il pescatore, ma in mezzo»[1].
Pascere, dunque, significa anche stare «in mezzo». Ed è questa una sapienza di pastore che possiamo leggere nella vita di Papa Giovanni, prima da sacerdote e cappellano militare, poi da vescovo di nunziatura e da patriarca di Venezia, infine anche da Papa. Sempre in mezzo al popolo! E la gente lo sentiva.
Dunque, «in mezzo»! È bello pensare che questo descriva pure il vostro rapporto di militari con la gente, con il Paese, con le realtà internazionali nelle quali andate a operare… E la gente lo sente! Non «stare al di sopra, non «attirare a sé», ma «occuparsi degli altri»… fino al dono della vita. Ecco la vostra sapienza di pace!
La sapienza della vocazione
«La pace è il sommo dei beni: la sostanza viva di questi beni è la volontà di Dio. Non la nostra: ma quella che la vocazione ha deposto nello spirito come un seme. Una risposta ad una chiamata»[2], scriveva il cardinal Roncalli nel luglio 1958, pochi mesi prima della sua elezione Pontificia, collegando la pace alla vocazione. E nonostante le sue doti umane, diplomatiche e spirituali, egli non sarebbe stato lo straordinario uomo di pace che fu se non avesse seguito con dedizione e fedeltà, nella semplicità del quotidiano, la propria vocazione.
La sapienza di pace di Papa Giovanni sembra offrire un richiamo all’importanza della missione di ciascuno di voi, militari dell’Esercito Italiano, come apporto alla pace; ancor più, direi, come fondamento di quella pace che può poi irradiarsi sul mondo.
Stiamo attraversando un drammatico momento storico, che vede acuirsi logiche di guerra, blocchi contrapposti, esasperando da una parte i nazionalismi, dall’altra tante forme di discriminazione e disprezzo della vita umana. In tale contesto, guardare ai grandi fenomeni da voi affrontati in prima persona può far paura, può alimentare il senso di impotenza e a volte tradursi un un’invocazione a Dio: «perché tutto questo?».
Oggi Papa Giovanni ci suggerisce questa sapienza, che abbiamo ascoltato pure dalla seconda Lettura (Ef 4,1-7.11-13): «comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto». Rimanere cioè fedeli alla missione, al compito, al mandato affidatoci, leggendovi l’obbedienza non solo alle esigenze militari ma alla stessa Volontà di quel Dio che guida sapientemente la storia e, per prendersi cura di tutte le pecore, per continuare a difenderle e a proteggerle, a guidarle e a pascerle nella giustizia e nell’amore, ha bisogno dell’apporto di ciascuno. Di ciascuno di voi!
Carissimi militari dell’Esercito Italiano, curare, pascere, essere fedeli alla propria vocazione.
Ecco il segreto che oggi Papa Giovanni ci comunica, per rispondere ad alcune sfide della storia.
Per questo lo abbiamo scelto come Patrono, per questo celebriamo l’Eucaristia: per mettere la nostra vita di uomini e donne, con delicati compiti e grandi responsabilità, sotto sua la protezione e affidarci a Dio, con la sua intercessione e il suo esempio.
Al Dio che guida la storia nella Sapienza e nell’Amore. Pace in Medio Oriente, pace nel mondo!
Grazie, Papa Giovanni! Continua a guidarci e aiutaci a sperare.
Santo Marcianò
Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia
[1] Francesco, Omelia 60° anniversario Concilio Ecumenico Vaticano II, Basilica di San Pietro, 11 ottobre 2022
[2] Giovanni XXIII, Il Giornale dell’anima, luglio 1958