Omelia Commemorazione di don Giovani Minzoni

01-10-2023

Carissimi, è forte, oggi, la commozione. È profonda la gioia, è alto il senso di responsabilità, per il dono prezioso che, come Chiesa Ordinariato Militare e come Chiesa italiana riceviamo, celebrando i 100 anni dalla barbara uccisione di don Giovanni Minzoni, cappellano militare per il quale, tra una settimane, si aprirà la fase diocesana della Causa di Beatificazione.

Siamo proprio nel luogo che ha visto consumarsi il suo sacrificio d’amore, epilogo di una vita vissuta con passione, convinzione, dedizione e decisione: nei primi passi del suo sacerdozio, nel tempo drammatico della guerra, negli ultimi anni di un ministero del quale Argenta porta impresso il segno.

La Liturgia della Parola, in questa Eucaristia, ci aiuta provvidenzialmente a tracciare un breve profilo di don Giovanni; ma anche il suo profilo, potremmo dire, ci aiuta a vedere la parola incarnata e viva, come è in ogni esistenza illuminata dal raggio della santità. E, dalla Letture di oggi, mi pare di poter trarre quattro immagini, rispecchiate nella vita di don Minzoni, quasi come epifania del messaggio della Scrittura.

 

  1. La vigna del Signore

Il Vangelo (Mt 21,28-32) narra la storia del «no» di due figli, ai quali il padre chiede di andare a lavorare nella sua vigna. Uno rifiuta a parole, l’altro a fatti; uno, poi, supererà il «no» pronunciato; l’altro, al contrario, annullerà il «sì».

Nella simbologia biblica la vigna del Signore è più di un posto di lavoro; è il popolo eletto ma anche il mondo e, in esso, ogni persona e ogni realtà. Tutto, del mondo, sta a cuore a Dio! E i figli, pur in diverso modo, sembrano non capire proprio questo: quanto sia amato dal Signore il mondo, con le sue contraddizioni e le sue tragedie, con il bene e il male.

Don Minzoni lo capisce benissimo! E, davanti a Dio che lo invia nella sua vigna, ovvero nel mondo, pronuncia un «sì» pieno, senza tenere nulla per sé.

Lo pronuncia da giovane, entrando in Seminario e poi interpretando da subito la sua vocazione al sacerdozio come una missione calata nella vita sociale e politica, tra le grandi povertà del tempo; lo sfruttamento dei lavoro, le discriminazioni, le ingiustizie, le violenze…

Lo pronuncia ancora, quel «sì», dinanzi alla violenza portata al suo estremo: la Prima Guerra Mondiale, che incrocia i suoi passi di giovane prete chiamandolo in un primo tempo al servizio militare in sanità e .poi al ministero di cappellano.

I due figli del Vangelo non vogliono andare nella vigna; egli, invece, sente che il Signore lo chiama a scendervi fin nei luoghi più bui: così, desidera e chiede di essere inviato al fronte.

Da questa esperienza, per lui centrale, imparerà ancor più a non tirarsi indietro dinanzi alle grandi minacce alla vita, all’amore, alla pace. A guidarlo sarà il senso di realtà e di servizio di chi pensa sia possibile conciliare profeticamente il sacerdozio e l’amore di Patria; e che la sintesi sia possibile in nome dell’amore.

 

  1. La consolazione

L’amore promana dalla seconda immagine che la Liturgia ci offre: la consolazione. Quanto spazio di consolazione nel ministero di un cappellano militare, specie di un cappellano durante la guerra!

Nella seconda Lettura (Fil 2,1-11), Paolo parla di «consolazione in Cristo», di «conforto, frutto della carità», di «sentimenti di amore e di compassione»… Sono i sentimenti di cui le pagine delle memorie di don Giovanni sono intrise e che rintracciamo nelle testimonianze su di lui.

Tanti lo ricordano forte e coraggioso, saggio nel dare consigli ai soldati e nel confrontarsi con gli ufficiali, ma soprattutto impegnato a girare in trincea durante i combattimenti, noncurante dei pericoli, per portare quella consolazione che altro non è che la propria vicinanza, per un prete segno della vicinanza di Dio alla vita, al dolore, alla morte di ogni uomo.

Sì, di ogni uomo. Commoventi le pagine in cui descrive lo strazio di veder fucilare un condannato a morte: senso di impotenza dinanzi a una norma ineluttabile ma anche miracolo che spalanca un lembo di cielo, permettendo a una piccola luce di affiorare in un’anima fino ad allora preda di odio, che si rivela capace di tenerezza al ricordo di una figlia piccola…

Che buio quelle morti! Ma, al contempo, che luce imprevista! Mai don Giovanni vorrà e potrà cancellare i ricordi di guerra, che hanno cambiato  per sempre la sua vita, maturando verso una straordinaria pienezza di umanità il suo sacerdozio.

 

  1. Il ricordo

Il ricordo, per lui, fu vera ricchezza: «Sarà caro nell’incerto domani attingere energie da questo passato che per me non avrà tramonto», scriveva, quasi riecheggiando la preghiera del Salmista (Salmo 24 [25]): «Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore… guidami sulle tue vie».

La memoria come preghiera, invocazione: sentire il ricordo di Dio, ricordare con Dio e riprendere il cammino. La memoria, direbbe Papa Francesco, come strumento essenziale di discernimento. La memoria come esperienza viva di don Minzoni, come itinerario per ritrovare la strada sempre, anche in tempi difficili, lasciandosi guidare da Dio nelle Sue vie.

È strano che, superata la tragedia della guerra, don Giovanni non sentisse il bisogno di dimenticare il dolore, lo strazio, cosa umanamente comprensibile. Al contrario, la memoria della guerra fu per lui elemento di forza: da una parte, perché tutto poteva apparire di minore entità rispetto al dramma vissuto; dall’altra, per la sensibilità sociale che la devastazione bellica aveva rinnovato e ancor meglio plasmato.

Era necessario un vero cammino di ricostruzione. E questo cammino, egli ne era convinto, doveva essere una strada nuova, diversa; un nuovo ordine di idee, nel quale cercare di includere tutti, anche coloro che, in guerra, erano stati nemici, ma in realtà parte di una stessa umanità, in quanto fratelli.

I parrocchiani e i cittadini, ritrovati da don Giovanni dopo la guerra, si lasciano coinvolgere in questo nuovo ordine di idee; così, Argenta diventa un piccolo laboratorio di rinnovamento; un esperimento sociale che va dalle cooperative con una larga e attiva presenza di donne, alla promozione dello scoutismo, alla grande cura educativa. Raccogliere e accogliere tutti, soprattutto i giovani, per dare speranza di futuro; un futuro di bene, perché ciò che prima della guerra era «utopia», egli diceva, ora è «coscienza».

 

  1. La santità.

E proprio nella coscienza e nelle coscienze di coloro che gli stavano attorno, egli ha combattuto e vinto la sua battaglia. Una battaglia apparentemente piccola – poche persone, un paesino sperduto… – come piccola, ma dilatata dalla preghiera e dal dono della vita, appare la storia della Santa di cui oggi celebriamo la festa, Teresa di Lisieux.

Come Teresina, morta a soli 24 anni in un piccolo Monastero di clausura della Francia, riuscì a varcare i confini dello spazio e del tempo, così la figura e l’opera di don Minzoni, il seme da lui seminato nei solchi di questo paese e dell’intera nostra Nazione; e così il fascino della sua santità, che il potere fascista ha ritenuto temibile, tanto da decretarne l’uccisione.

L’opera di don Minzoni era “pericolosa”, i fascisti lo avevano capito. La sua educazione era gravida di futuro perché, da prete, non educava come gli altri: tanto per l’incidenza sulle nuove generazioni, che il fascismo voleva a tutti i costi conquistare, quanto per la sua parresìa che parlava al cuore. Anche al cuore di chi lo rifiutava, per convertire il malvagio alla giustizia, come dice la prima Lettura (Ez 18,25-28).

È il fascino spirituale della santità, che fa paura perché è segno del Mistero, dell’oltre, di Dio. E forse è proprio per sopprimere questo fascino di Dio in lui, che don Giovanni è stato ucciso, diventando non solo vittima dell’odio personale ma dell’odio della fede: martire, in nome dell’amore e in nome di Cristo.

 

Cari amici, è sotto questa luce che bisogna guardare a don Minzoni, traendo dalla sua vita un insegnamento per affrontare, oggi, il lavoro nella vigna del Signore, senza fuggire le responsabilità che provengono dall’impegno sociale a livello nazionale e nel mondo: le sfide della difesa della vita umana in tutte le fasi e condizioni, portata avanti  in modo speciale anche dai militari italiani; le politiche di attenzione ai paesi poveri e accoglienza dei migranti che bussano alle porte del mondo; il rispetto della dignità delle donne, troppo spesso vittime di violenza e discriminazione; la ricerca continua e paziente della pace; la protezione dei bambini dai soprusi ma anche dai vuoti educativi, che espongono al totalitarismo delle ideologie e del non senso e bloccano la maturazione delle coscienze.

L’esempio e l’intercessione di Giovanni Minzoni ci aiutino davvero a percorrere la strada a noi affidata, nella certezza che ogni difficoltà e ogni tragedia può schiudere nuova vita, come egli diceva: «Mi vedranno non un eroe è vero, ma almeno un sacerdote che senza aver gridato evviva la guerra, ha saputo accorrere lá dove vi era una giovane vita da confortare, una lacrima da sublimare, una goccia di sangue da rendere martire, una anima da rendere santa! E allora la mia missione di sacerdote sarà più efficace nella nuova vita che si aprirà dopo la guerra!».

Santo Marcianò