Omelia Festa San Giovanni XXIII – Roma, Chiesa S. Croce in Gerusalemme, 11 ottobre 2023

11-10-2023

Festa San Giovanni XXIII – Roma, Chiesa S. Croce in Gerusalemme, 11 ottobre 2023

 

E allora il pensiero di pace si calò nell’opera di pace: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14); venne ad abitare particolarmente nei nostri cuori per mezzo della fede. Divenne oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione” (Dai Discorsi di San Bernardo abate, Ufficio delle Letture Beata Vergine Maria del Rosario).

 

Carissimi, «il pensiero di pace si calò nell’opera di pace»! Così San Bernardo abate descrive l’Incarnazione di Gesù. E, così, fa capire quanto grande, concreta, meravigliosa sia la pace.

La pace è «pensiero» di Dio; appartiene a quelle realtà che sanno di inafferrabile, indefinibile; che significano molto più di quanto riusciamo a esprimere a parole; eppure, realtà vere, concrete, alla cui costruzione sentiamo di dover partecipare attivamente. Proprio perché è grandezza i cui confini sembrano sfuggire, la pace non ci appartiene mai completamente, non è totalmente in nostro potere. Ma siamo noi, esseri umani, che le apparteniamo; per meglio dire, che scegliamo se appartenerle o meno.

La pace, pensiero di Dio, si cala infatti «nell’opera di pace». Diventa storia, diventa carne, diventa vita. Diventa Vita di Gesù, dice San Bernardo; con Gesù, essa viene ad abitare nei nostri cuori per mezzo della fede, divenendo «oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione». Per chi scelga di appartenerle, la pace è dunque realtà totalizzante: permea pensieri, ricordi, sogni; si cala in opere di pace, orientando le scelte dei collaboratori dell’opera di pace di Dio.

Dal pensiero di Dio, alla carne di Cristo, al cuore dell’uomo: ecco la strada che la pace deve compiere, per essere riversata nel mondo; ecco la strada che la pace può compiere anche attraverso il vostro servizio, il vostro ministero, la vostra vita di Militari dell’Esercito Italiano.

 

Celebriamo oggi la Festa di San Giovanni XXIII, nostro Patrono, la cui vita è stata totalmente permeata dalla pace. Lo facciamo come ogni anno ma oggi, direi, in modo ancora più sentito e commosso, ricordando il sessantesimo anniversario della sua morte, avvenuta il 3 giugno 1963, e della promulgazione, poco prima, dell’Enciclica Pacem in Terris, non a torto considerata suo Testamento Spirituale.

Due eventi importanti per la Chiesa e per il mondo, ma particolarmente significativi per la nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare; ho voluto ricordali con una breve Lettera, che sarà diffusa a breve e porta la data di oggi, Festa di San Giovanni XXIII, nella cui esistenza sì è veramente calato il pensiero di pace di Dio.

Questa nostra Celebrazione si va a collocare proprio nei giorni di una nuova, terribile stagione di guerra, con il barbaro attacco a Israele che si unisce al conflitto, per nulla acquietato, tra Russia e Ucraina senza, tuttavia, che si plachino guerre in terre più lontane o dimenticate. E si sente sempre più minacciosa una guerra terribilmente estesa o gravata dallo spettro delle armi nucleari.

In questa Eucaristia il nostro cuore si allarga nel dolore e nella preghiera per ogni guerra, per l’Ucraina, per Israele: la Terra Santa di Gesù, Principe della Pace. E, nella preghiera, chiediamo a San Giovanni XXIII la sua intercessione e l’aiuto della sua esperienza di uomo e militare, di sacerdote e cappellano, di vescovo e papa.

Vorremmo sentirne la voce mediare tra le superpotenze del mondo, come durante la crisi di Cuba, scongiurando un conflitto apparentemente ineluttabile. Vorremmo imparare da lui le semplici attitudini quotidiane che lo hanno portato a scrivere la Pacem in Terris, più che come un “trattato”, come “grido” della sua stessa vita.

Quella di Papa Giovanni è stata infatti la vita di un uomo semplice ma destinatario di una straordinaria vocazione a collaborare all’«opera di pace» di Dio, alla quale egli ha saputo rispondere «in modo degno», come dice Paolo nella seconda Lettura (Ef 4, 1-7.11-13): «con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità… avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace».

 

«Con umiltà», la tapéinosis greca: è quella «piccolezza» tipica di chi scopre di aver avuto tutto da Dio e lascia fare tutto a Lui, collaborando in tutto con la Sua opera, che è sempre opera di pace. Proprio perché è piccolezza in relazione a Dio, l’umiltà è contrapposta alla presunzione e all’autoreferenzialità, da cui derivano tanti mali, compresa la guerra, e diventa capacità di ascolto, accoglienza, collaborazione… in una parola, diventa fiducia.

Anche il mondo militare e il mondo delle istituzioni devono fondarsi sulla fiducia. Non solo sulla fiducia nelle competenze e professionalità, negli attenti addestramenti, nelle nobili motivazioni, ma sulla fiducia in Dio che completa le nostre insufficienze e offre la sua vicinanza di beatitudine per gli operatori di pace.

Avere fiducia, infondere fiducia. Fu dote di Papa Giovanni e, se ci pensiamo, è dote del pastore, deputato alla guida nella Chiesa, la cui figura abbiamo contemplato nel Salmo 22; al contempo, è la dote del “re”, al quale, in Israele, il pastore è assimilato: dunque di tutti coloro che sono, in qualche modo, a guida di un gruppo o di un popolo.

 

Guidare la Chiesa e il popolo, significa saper guidare ogni singola persona, anche la più difficile; saper costruire relazioni, indispensabili a un cammino di pace.

Papa Giovanni ha saputo farlo con la «dolcezza» e «mitezza» di cui parla Paolo: non debolezza o arrendevolezza, piuttosto contrasto alla facile aggressività; egli ha mostrato vigilanza, coerenza, comprensione e disinteresse, senza mai confondere l’errore, da condannare con chiarezza, con l’errante, che va sempre trattato con dignità… la mitezza, potremmo dire, è l’altro nome della misericordia, che porta ad agire con coraggio e prudenza per tentare di avvicinarsi a tutti, fino ad arrivare, secondo quanto insegna Giovanni XXIII, a forme di dialogo e collaborazione: interculturale, interreligiosa, ecumenica; un’esperienza non rara per i militari, specie chi, operando in ambito internazionale, sia particolarmente chiamato a lavorare per la pace, con la paziente tessitura di relazioni.

 

E la pazienza è la «magnanimità» nel testo di Paolo (la macrothumìa greca): la grandezza di cuore, necessaria a guidare per i sentieri di giustizia, come fa il buon pastore, avendo cura dei poveri, degli ultimi, delle pecore perdute.

Papa Giovanni fu pastore così. Obbedendo alla voce di Cristo nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 21,15-17) – «Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle» -; egli seppe vedere i “piccoli” non solo nei bambini, nei malati, negli emarginati, nei carcerati… ma anche nei grandi della terra, la cui sete di potere li rendeva ciechi e bisognosi di essere guidati. Con pazienza, accogliendo tutti nel suo cuore grande, fu capace di sopportare, senza scoraggiarsi dinanzi al male e ai fallimenti, ma di insegnare a «ricomporre i rapporti» nella vita sociale, secondo criteri di verità, giustizia, amore e libertà: quelli che, secondo la Pacem in Terris, sono i quattro pilastri della pace, che sono poi anche i pilastri delle relazioni sociali e politiche[1].

È questo anche nella vostra preziosa missione di militari a servizio della legalità, della difesa, del bene comune.

 

Cari amici, umiltà, dolcezza, magnanimità: caratteristiche di Papa Giovanni e, al contempo, elementi necessari a «conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace»; a essere «un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza…». L’insistenza di Paolo sull’aggettivo «uno» si amplia e giunge a «un solo Dio Padre di «tutti» o, come alcuni esegeti interpretano, Padre di «tutto».

Possiamo essere «uno» perché Dio è Padre di «tutti e di tutto». Ed è Padre di quei doni, di quei ministeri che Egli dona a ciascuno, facendo di ogni servizio, di ogni persona, un dono per altri… al fine di raggiungere «la pienezza». Tra questi, il dono del vostro ministero, cari Militari dell’Esercito Italiano, per il quale vi rendiamo infinite grazie, assieme a tutto il Paese.

La pienezza è l’unità, è la pace: e la pace, ci rasserena Giovanni XXII – è «anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi»[2]. Sì, tutti e sempre aneliamo alla pace! Ogni essere umano, in ogni epoca storica o latitudine geografica; paradossalmente, anche coloro che innescano la guerra, la finanziano, la supportano e continuano a perpetrarla, hanno questo desiderio, sia pur celato nel profondo del loro cuore. Papa Giovanni sa di parlare a tutti gli uomini e spera davvero di intercettare e portare alla luce “il raggio della pace”, che può farsi strada anche nelle esperienze e nelle scelte più buie.

Possa, la luce di santità di Papa Giovanni, rischiarare il buio, anche il buio di questi giorni, perché il «pensiero di pace» di Dio si cali nelle opere, nelle menti, nei cuori degli uomini del nostro tempo e di tutti i tempi.

Santo Marcianò

 

 

[1] Cfr Pacem in Terris, n. 82-84

[2]Pacem in Terris, n. 1