Omelia Messa nella festa di San Matteo, Patrono della Guardia di Finanza, 21.09.2023

21-09-2023

Roma, Basilica S. Giovanni in Laterano

 

Carissimi, ogni anno, ritrovandoci a celebrare questa Eucaristia, la Liturgia della Parola ci fa incontrare un uomo, Matteo (Mt 9.9-13). L’evangelista – che è lui stesso – ce lo presenta subito così, «seduto». E immaginare visivamente la posizione, lascia intravedere quello che sembra il suo punto di partenza.

Matteo parte seduto! È un atteggiamento consono alla sua figura, ma sembra quasi una posizione di potere, che rispecchia il modo in cui egli esercita il suo lavoro: una posizione che lo separa da coloro ai quali chiede le imposte, con la stessa distanza con cui una scrivania separa due persone che vi si siedono ai lati opposti, in una chiara distinzione di ruoli.

Stare seduto è una posizione di comodità, ma anche di sicurezza, difesa. Matteo non mette il suo operato in discussione, non mette se stesso in discussione. Almeno fino a quando non incrocia uno sguardo.

Ci sono alcuni sguardi che, quando ci raggiungono, ci aiutano a guardarci dentro. Può essere lo sguardo di un genitore, un fratello, un amico; di un educatore o un sacerdote; può essere lo sguardo della persona amata o lo sguardo di Gesù, che Matteo ha incontrato; e se, nella nostra vita, non siamo riusciti mai a guardarci dentro, forse è perché non abbiamo incrociato quello sguardo.

Al contrario di Matteo, Gesù è presentato in cammino: «mentre andava via», dice letteralmente il testo. E questo crea una sproporzione evidente: Lui, il Maestro, in piedi, in movimento; Matteo, invece, in atteggiamento magisteriale, nella posizione di chi insegna. Ma Gesù rivolge uno sguardo, Matteo no. E questo basterà a ribaltare la situazione.

Egli, che aveva una posizione comoda, di persona arrivata, potente, ricomincia da capo. Qualcosa, in quello sguardo, lo spinge; qualcosa, in quello sguardo, lo costringe a scrutare il proprio cuore.

È questa – quella che sta vivendo – la vita che Matteo vuole? È questa la relazione che desidera impostare con gli altri: guardarli dall’alto in basso o, forse, non guardarli neppure?

Così lui, che aveva governato da dietro una scrivania, inizia ad andare dietro Gesù e, così, cambia anche il suo atteggiamento verso gli uomini: la fredda distanza del banco delle imposte è colmata da una vicinanza continua, affaticata, capace di condividere il percorso umano, di mettersi nei panni altrui, di restare indietro, se necessario, per raccogliere gli ultimi della cordata… E perché nessuno vada perduto.

Non si sa con che sguardo Matteo abbia risposto a Gesù, ma si sa che è quel sentirsi guardato che gli dona la luce per capirsi e la forza per alzarsi e mettersi in piedi. Il verbo greco del Vangelo (anastàsas), è noto, allude a una nuova vita, una risurrezione. E la risurrezione di uno è e sarà nuova vita per molti, per i «tanti peccatori» che accorrono nella sua casa, incoraggiati dal suo cambiamento di vita. E lì, ad attenderli, trovano Gesù e i discepoli.

È vero, anche nella casa Matteo starà seduto. Ma questa volta sarà «seduto a tavola» con gli altri, a condividere il pasto. A usare, nella solidarietà fraterna, quei beni che prima aveva preso per sé, incurante delle necessità altrui.

Così, coloro che arrivano in casa, non vedranno più un impiegato dietro una scrivania ma un uomo che sta con gli altri, li guarda, provvede alla loro fame e sete; fa’ in modo che anche loro possano incrociare lo sguardo di Cristo e cambiare vita, risorgere.

 

Noi siamo qui, oggi, per specchiarci in Matteo. Siamo qui per imparare da lui ad esercitare sempre meglio il prezioso servizio della Guardia di Finanza.

Dopo tanti anni, ormai, vi conosco bene; conosco tante delle vostre strutture, caserme, scuole… tanti dei vostri incarichi delicati e impegnativi, indispensabili alla legalità, al bene comune, alla pace.

Vi conosco e, per questo, mi piace pensare a voi non come a burocrati che esercitano un potere da dietro il tavolo ma come a servitori dello Stato che, per così dire, sono itineranti, in cammino; «in uscita», direbbe Papa Francesco.

Militari, persone che si preoccupano dell’applicazione delle leggi e, al contempo, della sorte degli uomini; che studiano la realtà nella quale operano e, su questa, misurano azioni, decisioni, fatica e dedizione.

Uomini e donne che sono vicini ai cittadini, li guardano negli occhi.

Professionisti impegnati a costruire una cultura della trasparenza e un’economia di giustizia, in un clima di solidarietà e condivisione.

Tutto questo non è facile, lo sappiamo bene.

Non è facile, nell’attuale clima di individualismo e di aggressività, quando la prassi che sembra imporsi vira sempre più verso la difesa dei propri interessi, perseguita con ogni mezzo, fino alla corruzione.

Non è facile quando, in nome della precisione e della correttezza, si viene penalizzati, minacciati, attaccati. Ma è qui – direbbe Gesù – la beatitudine di coloro che hanno «fame e sete della giustizia».

Una beatitudine, una gioia: quella di servire la giustizia, di servire il Paese, di servire gli esseri umani così. Così come fate voi!

Una beatitudine che possiamo immaginare sia stata l’esperienza di Matteo: prima solo, con lo sguardo basso, a contare denari. Poi in piedi e affaticato dietro a Gesù, impegnato ad accorgersi degli altri, delle persone, dei peccatori, per recuperarli e amarli… perché nessuno vada perduto.

 

Cari amici, ecco un’ultima suggestione: recuperare i peccatori. Al vostro servizio, in un certo senso, non basta recuperare le ingiustizie e i conseguenti guadagni. C’è un orizzonte più grande che il Vangelo vi addita, nella figura di e del vostro Patrono San Matteo: recuperare le persone.

Sappiamo quanto ciò sia delicato; e quanto spesso voi, militari della Guardia di Finanza, siate guardati con timore. Ma sappiamo pure come il vostro stile, rispettoso dell’essere umano, e la vostra testimonianza riescano a volte a creare un varco nelle coscienze e nei cuori, per incoraggiare alla possibilità di una nuova vita.

Perché i cuori, tutti i cuori umani, come Matteo, potranno sempre incrociare lo sguardo di Gesù e scegliere la libertà di rifiutare il male e fare il bene.

Non lo dimenticate e non vi scoraggiate, ma lasciatevi, voi per primi, avvolgere da questo sguardo d’amore del Signore, che sarà vostra Luce e Forza per guardarvi dentro e alzarvi ogni giorno, come Matteo, con la gioia di camminare nel bene e verso il bene. E’ per questo che il Paese vi ringrazia e prega per voi.

Santo Marcianò