Omelia nella celebrazione con le Forze Armate a Lampedusa

20-02-2014

10 novembre 2013  Cari fratelli e sorelle,  saluto tutti di cuore, con rispetto e affetto: il carissimo confratello Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, che ringrazio di cuore per la sua instancabile opera di vicinanza e soccorso ai fratelli immigrati; saluto il signor Ministro della Difesa, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, i Capi di Stato maggiore, i comandanti generali e tutti i militari; i sacerdoti concelebranti, i nostri fratelli stranieri, i cittadini di Lampedusa e i fedeli tutti. Con grande emozione, ve lo confesso, celebro questa Eucaristia: l’emozione di trovarmi tra voi – e ne sono veramente onorato e contento – per il mio primo viaggio come Ordinario Militare; l’emozione di toccare una realtà territoriale ed umana che, in questo tempo, sta diventando simbolo e monito, per la nostra Nazione e il mondo intero. Una terra che voi, cari cittadini di Lampedusa, rendete sempre più ospitale, amica, sorella; una terra della quale voi, cari fratelli stranieri, continuate ad accarezzare il sogno; e una terra nella quale voi, carissimi militari, siete completamente integrati, non solo per ragioni contingenti e organizzative ma proprio perché cercate di custodire la fraternità e il sogno proteggendo, per quanto possibile e più che sia possibile, ogni vita umana che qui si avvicina. Perché la vita, potremmo gridare con la Parola di Dio che oggi abbiamo ascoltato, è sacra; la vita è ineliminabile!   Sì, la vita è ineliminabile: è il grido dei sette fratelli dei quali ci parla la prima Lettura. Essi muoiono proprio per le mani del loro re, il quale voleva violarne la coscienza costringendoli a rifiutare la legge di Dio; ma a lui essi gridano: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Questo grido si confonde, qui ed ora, con il grido di coloro che fuggono da una nazione, da un potere che, invece di essere custode di vita, si fa portatore di morte. Si confonde con la violazione della libertà religiosa, grave attentato ai diritti umani e, allo stesso tempo, fonte remota di tanti conflitti fratricidi. Si confonde con le agonie delle innumerevoli vittime per la guerra, il terrorismo, la criminalità, ma anche per quella miseria e quella fame che, generate da egoismi, soprusi e ingiustizie, non sono solo atroci prassi ma spesso frutto di leggi inique. E si confonde, questo grido, con il grido delle stragi del mare che, in questi ultimi tempi, stanno moltiplicandosi con terribile frequenza, diventando icona di illusione e menzogna, di violenza e commercio della vita umana. Ma la vita è ineliminabile! E il grido diventa preghiera, supplica, come abbiamo ascoltato nel Salmo: «Sii attento, Signore, al mio grido… Custodiscimi e nascondimi all’ombra delle tue ali… »; diventa coraggio e, in chi parte mosso dalla disperazione, diventa speranza. Non lo dimenticate: su queste coste, assieme alla vita, approda sempre la speranza! Chi ascolterà questo grido? Chi custodirà questa vita? Chi saprà non tradire questa speranza?   È Gesù che, nel Vangelo, leva un grido: i «figli di Dio», Egli dice, «non possono più morire»! Carissimi militari: se la vita è ineliminabile, se la vita non può morire, è perché è vita di «figli». È la verità profonda che vorrei animasse il vostro servizio, in particolare nello svolgimento della delicata missione Mare Nostrum. Una missione in cui, se ci pensiamo bene, la nostra stessa Nazione Italiana, prima ancora di aspettare la complessità di organizzazioni e decisioni internazionali, si è impegnata a non tradire le singole speranze dei fratelli che qui arrivano. Per farlo, ha bisogno di voi! Dei circa 1500 militari impegnati in questa missione che ha salvato solo in questo ultimo periodo più di 3.000 persone: una forza che combatte – mi piace dire così – per vincere quella che Papa Francesco proprio qui ha condannato come «globalizzazione dell’indifferenza»[1]. In questa Eucaristia ringrazio commosso il Signore, con ciascuno di voi e per ciascuno di voi, sentendo rivolte a voi le parole di San Paolo nella seconda Lettura: «Abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo». Continuate a farlo, carissimi, in una missione che, al di là delle cifre, offre la cifra del valore immenso che può assumere il compito dei militari. È la cifra inestimabile del valore della vita umana: adulti e giovani, donne e bambini, anziani e piccoli nel grembo materno… ogni vita che voi avete salvato e salverete, scorgendo in ciascuno la sacralità dei figli di Dio. È la cifra incalcolabile dell’amore che avete dato e darete, sentendo ciascuno come vostro figlio e diventando, con l’aiuto di Dio Padre, padri anche voi. Così questa terra, che vede tante tragedie e tante morti, sempre più sarà grembo e madre, per ogni creatura salvata e ogni speranza che rinasce, e ci aiuterà tutti, come ancora ha gridato Papa Francesco, a «risvegliare le nostre coscienze, perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!»[2]. E così sia!


[1] Papa Francesco, Omelia nella S. Messa a Lampedusa, 8 luglio 2013
[2] Papa Francesco, Omelia nella S. Messa a Lampedusa, 8 luglio 2013                                                                                                                                                                                                                                                                         X Santo Marcianò