Omelia nella S. Messa all’AraCoeli per i caduti civili e militari nelle missioni di pace

20-02-2014

12 novembre 2013 Cari fratelli e sorelle,  è nel silenzio della preghiera, ed è nella realtà dell’offerta che la Messa ricorda e ripropone, che oggi siamo qui riuniti: a tutti, un saluto e un grazie di cuore. Saluto il Senatore Piero Grasso, Presidente del Senato della Repubblica; l’Onorevole Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati; il Consigliere Coraggio, Delegato del Presidente della Corte Costituzionale; il Ministro della Difesa, Senatore Mario Mauro; saluto i Capi di Stato Maggiore, i Comandanti Generali, le Autorità civili e militari; saluto infine, con particolare affetto, i carissimi familiari dei caduti nelle Missioni Internazionali di pace militari e civili che, in questa Eucaristia, vogliamo ricordare e celebrare, facendo particolare memoria della strage di Nassiriya. Un evento che, in questo X Anniversario, assume una rilevanza più pronunciata, acquista un significato più pregnante; è, in realtà, più doloroso, inscrivendosi in un tempo che appare per certi versi brevissimo – tutto sembra accaduto quasi da un attimo, tanto ne sentiamo vivo il ricordo – per altri versi lunghissimo: fatto, cioè, di giorni interminabili, segnati dall’assenza dei nostri cari e forse, a volte, dal ripetere domande e attendere risposte che sembrano non arrivare… Ma oggi siamo qui, riuniti. L’Eucaristia ha il potere di convocare – è, infatti, un invito che accettiamo – e, allo stesso tempo, ha il potere di unificare. Non siamo tanti partecipanti staccati tra loro, siamo un unico Corpo. Siamo legati da un invisibile ed efficace vincolo di comunione che – lo vogliamo o no, lo sentiamo o no – ci fa realmente “uno”, nei diversi ruoli e responsabilità. Questo è il mistero della Chiesa! E questo ci dona la forza, oggi, di pregare, di piangere, di ricordare. Così, diventa “uno” il nostro dolore, “uno” il nostro grido, “una” la supplica che insieme rivolgiamo al Signore. È da Lui che, in questo momento, bisogna aspettare le risposte; è a Lui che dobbiamo guardare. E in Lui, nel Suo Volto, vediamo rispecchiati i volti dei nostri cari caduti. Uno per uno, con un volto e un nome; e, anche se non possiamo nominarli tutti, sappiamo che nessuno è anonimo per i suoi cari, per i suoi colleghi, per i suoi amici. Nessuno è anonimo agli occhi del Signore.  «Ma essi sono nella pace». Attraverso la Parola della prima Lettura Dio, oggi, sembra rispondere così. E questa Parola ci provoca nonostante, in momenti come questi, la pace possa sembrare assente, per il vuoto che i nostri fratelli hanno lasciato o, addirittura, per il fallimento che il loro sacrificio sembrerebbe aver generato… «Ma essi sono nella pace». Questa convinzione aiuta a fugare ogni dubbio, spegnere ogni possibile polemica e, lungi dal presentarsi come atteggiamento rassegnato, indica un criterio di ricerca, di verifica, di esame di coscienza. Loro, caduti «per la pace», sono «nella pace»! È la stessa pace, ci potremmo chiedere? E cos’è la pace? È possibile essere nella pace anche noi? È interessante ricordare come, nel vocabolario biblico, la parola ebraica shalòm, che traduciamo con “pace”, indichi completezza, abbondanza, obbligandoci a guardare alla pace con una straordinaria ampiezza di significato, alla pace come “pienezza”. In tal senso, la pace non si trova già pronta e definita: è, potremmo dire, frutto e dono. La Parola di Dio, oggi, indica due categorie di persone o, meglio, due qualità dell’umano che avvicinano a questo frutto e a questo dono: essere giusti ed essere servi.  Da una parte ci sono i giusti: sono proprio «le anime dei giusti», dice la prima Lettura, a essere «nella pace». La pace è frutto della giustizia. E questo, in fondo, dona il senso e lo stile anche alle nostre missioni di pace, perché «la pace non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie, ma si fonda su una corretta concezione della persona umana»[1]. Sì: l’arma principale con cui dobbiamo combattere per la pace è la riaffermazione decisa del valore di ogni persona, specie in contesti in cui esso venga misconosciuto o violato, infangato o deturpato, sopraffatto o cancellato. È qui il cuore della giustizia, che riconosce a ciascuno ciò che gli è proprio e richiede «il rispetto dell’equilibrio di tutte le dimensioni della persona»[2]. Così, nelle missioni di pace, i nostri militari portano avanti opere di difesa e ricostruzione, di lotta alla povertà e alla discriminazione, di cura della sanità e dell’educazione… promuovendo i fondamentali diritti umani che questo equilibrio richiede e senza i quali non c’è giustizia. L’esperienza, tuttavia, insegna che non sempre le opere di giustizia sono perseguite con metodologia di pace. Non basta, cioè, solo “fare giustizia”, bisogna “essere giusti”; e la parola «giusto», nella Bibbia, acquista anch’essa uno straordinario spessore. Il «giusto» è, potremmo dire, l’uomo perfetto, completo, nel quale l’equità si fonde con l’umanità, la verità con la misericordia, l’onestà con la bontà, la legalità con la clemenza… Il tutto senza contraddizione ma, anzi, con armonia, con pienezza. Pur nel rispetto assoluto della giustizia, per costruire una pace vera, una pace intesa come pienezza dell’umano, è necessario, dunque, un “di più”. «Perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace»[3], ha affermato il Papa alla Veglia di preghiera per la pace in Siria. E forse è proprio questo “di più” che i nostri caduti hanno saputo scorgere, superando e perfezionando la giustizia con l’amore, fino a dare la vita: celebrarli significa anche dir loro grazie per aver insegnato, a noi e alle generazioni future, che l’uomo giusto è colui che ama perché vede nell’altro uomo un fratello e, di conseguenza, vive la vita come dono e servizio.  L’altra categoria di uomini di cui il Vangelo parla sono proprio i «servi» dei quali, in particolare, è messa in luce la prontezza a obbedire; e obbedire – il mondo militare lo sa bene – significa riconoscere una qualche superiorità. È proprio così. Nella sua misteriosa e splendida pienezza, la pace ci supera: ne percepiamo alcuni aspetti ma, in realtà, non ne cogliamo totalmente il disegno d’insieme. La pace, cioè, è un “ordine” più grande di noi, che riceviamo come dono e al quale è necessario obbedire. Non possiamo negarlo: per servire la pace occorre un cuore aperto alla trascendenza, spalancato sull’”oltre”. È l’”oltre” di cui l’uomo è desideroso ed è capace; è l’”oltre” cui il volto del fratello ci attira, tirandoci fuori da ogni forma di individualismo o egoismo, chiusura o indifferenza; è l’”oltre” che ci spinge in alto, diventando strada verso l’Infinito, verso l’Assoluto, verso Dio. Avvertiamo, anche qui, che “fare un servizio” non basta, bisogna “essere servi”. Addirittura, secondo la sconvolgente specificazione del Vangelo, «servi inutili». Sì, inutili! È un’espressione che rischia di essere fraintesa: inutili, infatti, non significa che “non sono” utili ma che “non hanno”, “non cercano” un utile proprio. Non è forse questo che i nostri caduti hanno vissuto, offrendo la vita senza pensare a se stessi, alla propria salute, ai propri beni, persino alla propria famiglia? Davvero essi non hanno cercato l’utile: per questo, potremmo dire, il loro sacrificio non è stato inutile!   Carissimi fratelli e sorelle, non è forse questo che costruisce la pace? Non fermarsi al proprio utile, non cercare il proprio interesse ma, piuttosto, spendere la vita, vivere le relazioni, organizzare il lavoro, affrontare la politica, governare la Nazione, stabilire l’ordine internazionale, a servizio di quel «bene comune» che è bene di tutti e, per questo, di ogni singola persona e dell’intera comunità umana. Quel bene che ha portato i nostri fratelli caduti a ritenere che donare la propria vita, a difesa della vita altrui, fosse più grande di ogni altro bene, del bene della stessa vita. Quel bene «indivisibile», che «soltanto insieme» può essere ottenuto[4], e perciò può farci “uno”, come in questa Liturgia Eucaristica, pure nel quotidiano impegno per la giustizia e per la pace; affinché questo sia intessuto di sforzi condivisi, di sinergie strategiche ma, prima di tutto e soprattutto, di comunione fraterna: di quell’amore che include e supera la giustizia e sempre porta la pace, come frutto dell’opera dell’uomo e come immenso dono di Dio. Per intercessione di Maria, Regina della Pace, invochiamolo, insieme, questo dono! E così sia!


[1] Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 494
[2] Ibidem
[3] Papa Francesco, Veglia di preghiera per la pace in Siria, 7 settembre 2013
[4] Cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 164 X Santo Marcianò