Omelia nella Celebrazione della Giornata della Pace

14-05-2014
12 gennaio 2014 – Roma, Basilica di S. Maria ad Martyres-Pantheon

    «Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che ha inviato ai figli di Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti» (At 10,34-36).   Carissimi fratelli e sorelle, le parole ascoltate dalla seconda Lettura sono state pronunciate da Pietro in un discorso che segna una svolta nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Siamo ai primi tempi della predicazione che gli Apostoli, fino ad allora, avevano rivolto al popolo di Israele, considerato depositario della Rivelazione di Dio. A un certo punto, però, Pietro ha una chiara intuizione che – questo per noi è particolarmente bello – nasce proprio dall’incontro con un militare, il centurione Cornelio: è un soldato romano, un pagano, ma pure lui sta sinceramente cercando il Signore! Da quel momento, la Chiesa comprende come la sua sia una missione a servizio di un’universalità che supera confini di spazio o tempo, razza o nazione: è per tutti gli uomini la salvezza, è per tutti il Vangelo, è per tutti il dono della pace che Gesù ha portato sulla terra. «Dio non fa preferenze di persone, è il Signore di tutti»; e non semplicemente perché Egli è giusto ma perché è Padre! Questa Parola di Dio oggi si rivela una splendida chiave interpretativa del Messaggio inviato dal Santo Padre Francesco in occasione della 47ª Giornata Mondiale per la Pace, il primo gennaio sorso, ricorrenza che la nostra Chiesa Militare celebra solennemente in questa Eucaristia: «Fraternità, fondamento e via per la Pace»[1]. Sono davvero lieto di essere con voi in questa Celebrazione che conclude il tempo di Natale, segnato per me dall’intensa e bellissima esperienza di aver incontrato tanti nostri fratelli nelle Missioni di pace in Afghanistan e Libano. Conoscendo e condividendo la loro vita e le fatiche, ho toccato ancora di più con mano la dedizione di tutti voi alla causa della pace, a servizio della Patria ma anche di altri popoli, fratelli da custodire e difendere, promuovere e amare. In questo momento, li sentiamo tutti vicini e preghiamo per loro; in particolare, preghiamo con forza per Salvatore e Massimiliano, prigionieri in India, che, in questi giorni, vivono ore ancora più difficili.   Sì, la fraternità, noi lo sperimentiamo, è la forza capace di abbattere i confini di nazioni o razze ma pure i confini più sottili e insidiosi che ci chiudono nell’egoismo – a livello personale, nazionale, mondiale – portandoci a “confinare” singoli esseri umani, categorie di persone, interi popoli. È questa «mentalità dello “scarto”… dei più deboli», creata peraltro da «nuove ideologie» di «individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico», che induce il Papa a lanciare il grido della fraternità; è la «grave lesione dei diritti umani», soprattutto del «diritto alla vita e… alla libertà di religione»; è l’emergere, accanto agli «scontri armati», di «guerre meno visibili ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario»; è la «globalizzazione dell’indifferenza che ci fa lentamente abituare alla sofferenza dell’altro». Ma è anche il «desiderio di una vita piena» che diventa «anelito insopprimibile alla fraternità»: perché l’uomo «è un essere relazionale» e, in un certo senso, porta nel cuore il fratello, il bisogno di lui, che impara già nella «famiglia», in particolare grazie al «ruolo del padre e della madre». Allo stesso modo, nella famiglia umana è il «Padre comune» che ci fa fratelli; è una «paternità trascendente» la garanzia di una «vera fraternità tra gli uomini»[2]. E il Padre è la «voce» che abbiamo ascoltato dire nel Vangelo (Mt 3,13-17): «Questi è il Figlio mio, l’amato»! È la festa che oggi la Chiesa celebra, il Battesimo di Gesù: prima dell’inizio della Sua “vita pubblica”, Egli, che è vero Dio ma pure vero Uomo, comprende come il senso della Sua missione di Figlio di Dio sia comunicare agli altri uomini tale identità. Ciascuno, ormai, può sentire per sé la voce del Padre: “tu sei il mio figlio, l’amato”! Gesù è venuto a renderci figli, fratelli. Una fraternità che, spiega il Papa, è da Lui «rigenerata»[3] perché gli uomini, pur avendone il germe e il bisogno, ne sperimentano il tradimento fin dall’inizio della storia umana: Caino, che «uccide per invidia Abele», in realtà «rifiuta di riconoscersi fratello, di relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio, assumendo le proprie responsabilità di cura e protezione dell’altro»[4]. Non è forse questa fraternità tradita la radice di violenze, guerre, ingiustizie, discriminazioni… la radice della pace tradita?   La mancanza di fraternità è alla radice della «povertà», o meglio di quella disuguaglianza sociale per cui – osserva il Papa – si riduce la «povertà assoluta» e aumenta la «povertà relativa»[5]; è alla radice delle «gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee» che, generate dal «progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo», «hanno spinto molti a ricercare la felicità e la sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia»[6]. Tante potrebbero essere le soluzioni per promuovere il «principio della fraternità»: politiche efficaci che permettano a tutti «di accedere ai “capitali”, ai servizi, alle risorse educative, sanitarie, tecnologiche»; l’«ipoteca sociale» che, pur difendendo come legittima la «proprietà dei beni», prevede che il loro «uso» sia anche comune; l’assunzione di stili di vita sobri di chi, «condividendo le proprie ricchezze, riesce a sperimentare la comunione fraterna con gli altri»[7]. Sono germi di pace, esteriore e pure interiore; perché, non dimentichiamolo, «l’uomo ha bisogno ed è capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale»[8]!   Ma la mancanza di fraternità è anche alla radice di guerre e di ogni crimine. Dai «conflitti che si consumano nell’indifferenza generale», ai conflitti che si instaurano tra «cittadino e istituzioni» quando «interessi di parte» ostacolino la necessaria «trasparenza»; dall’«ambizione» sfrenata che diventa «prevaricazione» del fratello, alle «molte forme di corruzione» che il Papa enumera e contro cui i militari spesso devono lottare: «il dramma lacerante della droga», lo «sfruttamento del lavoro», i «traffici illeciti di denaro», la «prostituzione e il traffico di esseri umani», gli «abusi contro i minori», la «schiavitù», la «tragedia spesso inascoltata dei migranti», le «condizioni inumane di tante carceri», la manipolazione della natura[9]. Dinanzi a questo c’è, anzitutto, una denuncia e «un forte appello» che il Santo Padre rivolge: la «non proliferazione delle armi e il disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico». Ma c’è un di più che, alla fine, diventa tenace speranza: nulla può cambiare se, agli «accordi internazionali» e alle «leggi nazionali», non si accompagna una «conversione dei cuori che permetta di riconoscere nell’altro un fratello»[10]. E tale conversione – ecco la speranza! –, può avvenire sempre «e non bisogna mai disperare della possibilità di cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia per tutti – conclude con dolcezza Papa Francesco – anche per coloro che hanno commesso crimini efferati»[11].   Carissimi fratelli e sorelle, sviluppo, solidarietà, giustizia, carità, fraternità… sono parole di pace che interrogano tutti, proiettandosi su scala nazionale, internazionale, globale. Come pronunciare queste parole, in particolare la parola “fraternità”, nel nostro mondo, nella nostra Chiesa militare? Come diventare anche noi come il soldato Cornelio il quale, aiutando Pietro a capire, aiutò la Chiesa a crescere e a espandersi nell’evangelizzazione, nell’annuncio di pace? Nella prima Lettura (Is 42,1-4.6-7) il profeta Isaia ci offre quasi un “profilo” di colui che semina pace con la fraternità: egli non si impone con la violenza delle parole e delle azioni, non si arrende fino a che il diritto non sia stabilito; ma è chiamato ad agire con giustizia, a liberare i prigionieri, a condurre alla luce chi è nelle tenebre… È qui che possiamo leggere la nostra vocazione di militari cristiani che, paradossalmente, ci mette a contatto con la violenza, l’ingiustizia, le tenebre… al punto che, a volte, può sembrare che ci confondiamo con esse. Ma questo contatto ci fa vicini, ci fa prossimo: e può trasformarle! Perché ciò avvenga, però, dobbiamo diventare fratelli di tutti, fratelli in umanità: l’«umanità nuova», che Cristo ha portato ed è offerta a ciascuno con il dono del Battesimo. È la ragione per cui la Chiesa sceglie di accompagnarci, di educarci; e grida, anche attraverso il servizio dei militari, che la pace non lascia «indifferenti davanti alla sorte dei fratelli» perché, se Dio è Padre, «non vi sono “vite di scarto”. Tutti godono di un’eguale e intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno»[12]. E così sia!       X Santo Marcianò


[1] Francesco, Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale per la Pace, 1 gennaio 2014
[2] Ibidem, n. 1
[3] Ibidem, n. 3
[4] Ibidem, n. 2
[5] Ibidem, n. 5
[6] Ibidem, n. 6
[7] Ibidem, n. 5
[8] Ibidem, n. 6
[9]Cfr. Ibidem, nn. 7-9
[10] Ibidem, n. 7
[11] Ibidem, n. 8
[12] Ibidem, n. 3