Chiesa S. Maria in Ara Coeli, 12 novembre 2024
Carissimi, in questa Celebrazione vogliamo ricordare tutti i caduti, militari e civili, delle Missioni Internazionali per la Pace. Lo facciamo sempre con particolare commozione, tanto più nell’attuale momento storico. Sono i nostri, i vostri cari, carissimi familiari e parenti, ma mi piace dire che sono figli del nostro Paese, della nostra Chiesa Ordinariato Militare, i quali hanno accolto il mandato di servire la Patria servendo la pace dell’intera famiglia umana, senza arretrare dinanzi al rischio ma sempre pronti a servire.
Ma lasciamoci illuminare dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato e che sempre parla ai nostri cuori.
Gesù, nel Vangelo (Lc 17,7-10), parla di un «servo», il cui lavoro è particolarmente esigente: ha arato i campi, ora deve preparare la cena; ha pascolato il gregge, ora deve servire a tavola. Più lavora, potremmo dire, più gli viene richiesto.
Anche le nostre Missioni Internazionali sono luoghi in cui il lavoro è difficile, duro, articolato, senza sosta. Esse sono simbolo di un servizio portato avanti con esemplare generosità.
In questi anni, ho visitato tanti nostri militari all’estero e posso testimoniare con quanta abnegazione e dedizione, competenza e amore, essi svolgano questo servizio. Credo sia doveroso ricordare, in questo momento, i militari italiani nei vari teatri operativi e pregare per loro. In particolare vorrei che pensassimo ai militari italiani in Libano, spesso costretti a vivere nei bunker, sfidando ogni rischio per svolgere fino in fondo la loro propria missione: proteggere la vita!
Proteggere la vita di tutti, soprattutto dei più poveri e indifesi, delle vittime innocenti di tanti conflitti senza senso, le cui conseguenze vengono, sempre più spesso, pagate da civili e da innocenti, compresi tanti, troppi bambini. Come ignorare quanto affermano alcuni esperti, ovvero che nelle guerre attuali sembrano ormai saltati anche alcuni principi basilari del Diritto Internazionale?
In tale panorama, che tanto ci atterrisce, si comprende meglio il valore del servizio alla pace svolto dai caduti che oggi ricordiamo. Perché servire la pace con gli strumenti attualmente a disposizione, comprese le Missioni Internazionali, è oggi uno dei pochi segni di speranza possibili. Sì, se i nostri fratelli sono morti, sono morti per la pace, per servire la pace. Niente è più prezioso della pace! E in quei luoghi di guerra, la pace, come la giustizia, si continua a servire.
Anche il servo della Parabola, continua a servire. Ha servito nei campi, continua a servire in casa… Continua a servire! Non solo perché deve, ma perché vuole farlo, sente il bisogno di farlo, ne sente l’urgenza e la responsabilità. Qualcuno ha scritto: “Dopo il verbo amare, il verbo servire è il più bello del mondo”. Il servo, forse, assieme alla giustizia, intravede un orizzonte ancora più ampio.
Conoscendo il suo padrone, è consapevole di come la cena che egli prepara è per i poveri, dunque, potremmo dire anche per gli uomini e le donne vittime dei conflitti, per i bambini ai quali viene rubata la vita, la speranza, l’infanzia… Continuare a servire in una mensa così, significa essere quelli che Gesù chiama «servi inutili». Da una parte, servi che non cercano l’utile proprio, bensì quello altrui. Dall’altra parte, servi consapevoli di come sia talora difficile misurare l’utilità del proprio servizio. E’ immenso il suo valore. Servi che continuano a servire, certi che sia l’unica cosa da fare, l’unico segno di speranza da donare a chi non sa più sperare. E’ proprio vero: “la misura di una vita ben spesa non sta in quanto è durata, ma in quanto si è donato” (Peter Marshall). E’ così: “Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona” (Karl Gustav Jung).
È quanto hanno fatto i nostri fratelli caduti e feriti!
Noi riconosciamo in loro i servi della Parabola e riconosciamo nel padrone il Dio Padre di tutti. Noi sappiamo di essere “servi” di un Signore, il quale veramente preoccupato per la fame del Suo popolo e prepara per tutti una mensa, dalla quale nessuno è escluso. Ecco la giustizia, alla cui costruzione i servi contribuiscono! Ma ecco, anche, la speranza di pace!
La cena, di cui parla il Vangelo di oggi, è infatti simbolo di incontro, esperienza di condivisione, solidarietà, comunità. Ed è simbolo di quel Banchetto che, nella Sacra Scrittura, rappresenta il luogo in cui Gesù dona la Vita: l’Ultima Cena, dove il Cristo, con il gesto del pane e del vino – che ripeteremo tra poco – anticipa la Sua Passione, Morte e Risurrezione, per amore e per la salvezza di tutti.
Sì, di tutti! L’opera di giustizia a cui, come servi, siamo chiamati arriva alla comunione. Porta a riaffermare non solo i diritti fondamentali che fanno parte della dignità delle persone, ma richiede lo sforzo – agli uomini e donne delle Istituzioni in particolare – di trasmettere il senso di appartenenza alla comunità civile e politica del nostro Paese e, attraverso essa, all’intera famiglia dei popoli. La guerra, come ogni sorta di violenza, intacca proprio questo collante umano e sociale: vuole provocare un effetto disgregante… vuole distruggere la pace distruggendo la fiducia, la fraternità, la carità.
Per questo, l’opera dei nostri fratelli ha aiutato il nostro Paese e i Paesi a cui erano inviati a ritrovare giustizia, a restaurare la comunità. Un compito portato avanti fino alla fine, fino alla morte.
Nel Vangelo, in realtà, il vero Servo è Gesù, il quale si farà Pane e Vino, si offrirà come “Cibo” della mensa a cui ci invita e a cui i nostri caduti stanno già partecipando in Cielo: «La salvezza dei giusti viene dal Signore», abbiamo cantato nel Salmo (36 [37]).
Cari amici, quanto è accaduto a uomini e donne che hanno servito il Paese coraggiosamente, accettando ogni rischio, ancora ci addolora. Eppure, quando si è «servi inutili», come Gesù è stato, si arriva a condividere talmente in profondità il dolore dell’altro, l’ingiustizia sull’altro, la violazione dell’altro, da offrire in totalità il proprio servizio, la propria missione, la propria vita!
Cari amici, cari familiari, scolpiamo nel cuore quanto Gesù dice: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv15,13). E Harvey Mackay commenta così: “Ciò che abbiamo fatto solo per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri e per il mondo, resta ed è immortale”. Immortale! Ovvero vivo per sempre!
Ed è quello che oggi ricordiamo e viviamo, ma è anche quello che dobbiamo imparare dai nostri caduti e feriti. Essi hanno lasciato l’eredità di una testimonianza preziosa, raccolta anzitutto dalle famiglie, che qui si ritrovano ogni anno, donandosi forza e cercando, nella fede e nell’amore reciproco, un senso a quel dolore che non può finire. Ma tale testimonianza è luminosa pure per altri, soprattutto per i giovani, i quali dovrebbero sempre poterla attingere da uomini e donne delle Istituzioni, come pure da uomini e donne di Chiesa. Preghiamo dunque, perché la traccia lasciata da coloro che oggi ricordiamo sia stimolo per tutti noi. E chiediamo che la fede nel Risorto ci sostenga sempre nel servizio alla giustizia, alla carità, alla pace.
E così sia!
Santo Marcianò