Chiesa S. Caterina, domenica 15 dicembre 2024
Carissimi fratelli e sorelle, carissimo Giuseppe, è la Domenica della Gioia, che l’Avvento, speciale tempo di Grazia, ci invita a celebrare per ricordare che, come afferma Paolo nella prima Lettura (Fil 4,4-7) «il Signore è vicino!». È la gioia della vicinanza, del tempo che si fa breve. Quella gioia sobria, che si sta lasciando alle spalle i giorni in cui il Natale era lontano ma non può tuffarsi ancora nell’esultanza di un presente imminente. È come quando, a un certo punto del cammino, ci si schiude improvvisamente dinanzi la meta, ancora non a portata di mano ma visibile e nitida. E questo ci conferisce una nuova forza, la gioia di pregustare il dono che ci attende; ma – attenti – una gioia reale, vera, non semplicemente proiettata al futuro. Una gioia peculiare, sacramentale, che segna una svolta alla semplice attesa.
Questa gioia, caro Giuseppe, mi sembra sia la gioia dell’Ordinazione Diaconale, primo grado del Sacramento dell’Ordine. Il sacerdozio è vicino, ma è una meta visibile e che questa tappa anticipa, rendendola non solo attesa ma già presente nella sua sacramentalità.
Tu hai atteso a lungo questo giorno. E Dio, potremmo dire, lo ha atteso con te. Ti ha condotto lungo la tua esperienza di vita in tanti luoghi differenti, situazioni differenti. Da un’infanzia semplice e felice in famiglia, in paese, con gli amici, ai primi passi di avvicinamento alla parrocchia, al servizio nell’Esercito e, successivamente, in Polizia… un cammino che, tra tante novità e sempre nuovi addii, come tu racconti, ti ha permesso di maturare il rapporto con il Signore e con la Vergine Maria, nella ricerca crescente di tempi di preghiera, catechesi, accompagnamento spirituale… fino a capire di essere fatto per Lui e, così, entrare in Seminario. Il tutto seguendo una sorta di filo conduttore nato da lontano, da parole ed esempi che risvegliavano un’esigenza profonda del tuo cuore: prendersi cura dei più piccoli, deboli e indifesi; una spinta, una voce interiore, rafforzata e illuminata un giorno da un’inequivocabile Parola di Dio: «Voi stessi date loro da mangiare».
In ogni vita c’è un filo conduttore tessuto dalla Provvidenza, se lo sappiamo rintracciare. E il tuo è stato davvero evidente, nell’indicare questa direzione, in modo commovente confermata dal Vangelo di oggi (Lc 3,10-18): «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Non ci può essere gioia senza la carità, sembra dire Giovanni Battista alle folle che lo interrogano. Nel Mistero della carità, da te cercata, amata e desiderata, il Signore rende “te”, come aveva preannunciato e promesso, “cibo” perché gli altri possano mangiare e nutrirsi di Lui: «Tu, Giuseppe, dai loro te stesso da mangiare…»; lo fa attraverso l’Ordine del Diaconato. Che gioia! «Siate lieti nel Signore, sempre»! La gioia, dice Paolo, è «nel Signore». Ed è “in Lui” che il Diaconato ti innesta in modo sacramentale.
Come avverrà questo? Ovvero, cosa significa la gioia di essere Diacono? Proviamo a rispondere ripercorrendo, con la Parola di Dio, il senso degli impegni che, con la tua libera risposta, confermerai di voler prendere.
La gioia della consacrazione, caro Giuseppe – lo ripeterai tra poco rispondendo a quanto ti chiederò -, è la gioia della «conformazione a Cristo». Non solo sequela di un modello, ma novità di vita. Tu ne hai vissute tante novità nella tua vita; ma questa è diversa, è una vera e propria nuova identità. «I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla grazia di Cristo – leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica –. Il sacramento dell’Ordine imprime in loro un sigillo (“carattere”) che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto “diacono”, cioè servo di tutti»[1].
Ecco che questa Consacrazione porta a compimento quel «servire» al quale la tua vita era orientata e che ora diventa un «ministero» che sei chiamato ad esercitare «con umiltà e carità in aiuto dell’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano». Un servizio gioioso, potremmo dire, la cui misura ritroviamo ancora nelle parole di Paolo: «La vostra amabilità sia nota a tutti…».
L’amabilità, che è poi gentilezza, magnanimità, capacità di relazione e comunione… è la conseguenza della gioia di chi serve “come”, “con” e “in” Cristo. E questa è sì una gioia interiore ma si rende visibile, diventando via di evangelizzazione.
Sono tratti che ti appartengono e che, al contempo, sei chiamato a costruire, per custodire quel mistero della fede che dovrai annunciare «con le parole e con le opere», come il Battista. La sua, se ci pensiamo bene, è una predicazione che interroga nel profondo, che suscita la domanda di conversione. «Cosa dobbiamo fare?», gli chiedono non solo le «folle» ma anche «i pubblicani» – categoria invisa alla gente – e persino i «soldati», specifica il Vangelo di Luca. Una sottolineatura bella, perché tu eserciterai il ministero diaconale nella Chiesa che è tra i militari, cercando di educarli, sull’eco della Parola di Dio, a non «maltrattare» gli altri, a non rispondere al male con il male… a essere operatori di pace.
E la pace è il cuore di quella gioia di cui parla Paolo. Sappiamo che la pace non è semplice assenza di guerra ma è pienezza di vita; e questa pace tu puoi testimoniare e annunciare, specie nel mondo militare.
Ma nel cammino – lo hai sperimentato anche in passato – questa pace interiore può essere minacciata dalle tentazioni, della fatica, dalla tiepidezza… Ecco, allora, che diventa essenziale «custodire e alimentare lo spirito di orazione» che caratterizza il «tuo stato di vita». Pregare significa chiedere, «supplicare», abbiamo ascoltato; ma significa anche saper «ringraziare», fare eucaristia. Non lo dimenticare: la Liturgia delle Ore, l’Adorazione Eucaristica, il servizio dell’altare, sono una liberazione quando l’angoscia, lo scoraggiamento, le preoccupazioni impegnano il cuore. La preghiera è la sorgente della pace perché trasforma tutto questo in pace, nella crescita del tuo rapporto con il Signore, tua gioia: «Fratelli, siate sempre lieti “nel” Signore…».
Oggi questa gioia conosce un gradino di intimità nuova e definitiva, con la promessa del celibato. Una gioia sponsale: è lo stesso Giovanni Battista a spiegartela, in un altro bellissimo passo tratto dal Vangelo di Giovanni: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,29-30).
La gioia della sponsalità è questa: vivere in pienezza l’amicizia esclusiva con il Signore, non smettere di essere presente e di ascoltarlo, come si fa con la persona amata. Al contempo, gioire del Suo crescere, del Suo abitare le anime dei fratelli ai quali sei inviato: ovvero iniziare a sperimentare quella “paternità” che il sacerdozio ti conferirà in pienezza. È l’amore del celibato che rende fecondo te e il tuo ministero: lo fa con la consacrazione ad opera dello Spirito Santo, con il «fuoco» dello Spirito, come annuncia Giovanni. Sì, l’amore che ti dona il celibato è «fuoco»: non lo dimenticare! Senza questo fuoco non si può essere consacrati a Lui per sempre!
Caro Giuseppe, imponendoti le mani, voglio consegnarti idealmente l’Icona di Giovanni Battista. La sua predicazione, dicevamo, suscita la conversione ma suscita anche l’attesa di Gesù: «il popolo era in attesa», specifica Luca.
Il tuo servizio diaconale, che inizia in questo tempo di Avvento, risvegli nei cuori dei tuoi fratelli, dei tuoi militari l’attesa di Gesù, il «salvatore potente», dice Sofonia (Sof 3,14-17), Lui è «in mezzo a te», è ormai “in te”. Lui «gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia».
Gioisci con Lui, Giuseppe. E noi – la tua famiglia, i tuoi cari, la nostra Chiesa Ordinariato Militare con i suoi sacerdoti, con la comunità del Seminario che ti ha accolto e ti accompagna -, tutti noi gioiamo con te «nel Signore». Lui ti benedica. E così sia, per sempre!
Santo Marcianò
Sof 3,14-17; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18
[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1570